Italia21

venerdì 20 aprile 2012

Città da amare : le città degli affetti


Ad un passo dalle elezioni amministrative, in un momento in cui la battaglia fra gli schieramenti diventa infuocata, voglio offrire un piccolo contributo: alcune riflessioni che possono essere utili a noi elettori per giungere ad un voto consapevole e guidato da buone intenzioni. Partiamo dall’etimologia della parola città.
Il termine città deriva dall'analogo latino civitas, ed ha la stessa etimologia di civiltà. Possiamo dunque affermare che città e civiltà si equivalgono almeno da un punto di vista etimologico.
Ma cosa rappresenta una città?
Ogni città ha un feeling unico, dato dai ritmi cittadini, un orologio interno, una dimensione spazio-temporale specifica.
Le città, infatti, non sono tutte uguali. Diversi sono anche gli ambienti naturali in cui si collocano: una città sul mare - come Brindisi - con uno splendido porto e splendide oasi marine circostanti, ha caratteristiche proprie, specifiche del contesto in cui si colloca. Logico pensare che ogni intervento ad essa rivolto, deve essere modulato in base a tali caratteristiche con attenzione e specificità.
Diversi sono anche i bisogni delle cittadinanze, definiti ed espressi localmente, dai contesti sociali, culturali, economici di riferimento.
Uguali tuttavia sono le premesse, le basi che guidano e motivano l’origine, la nascita, la costituzione delle città: le città rappresentano i luoghi dello stare e del fare insieme.Le città sono nate per fornire sostegno e risposta ai bisogni affettivi, sociali ed economici degli individui. Alla base ci sono le relazioni fra coloro che le abitano.Oggi questi luoghi colmi di valori affettivi, acquistano sempre più le caratteristiche di “non luoghi”, definiti dall’antropologo Marc Augé come quei luoghi creati dalla globalizzazione: i luoghi della perdita dell’identità, quegli spazi definiti iper, dilatati per accogliere migliaia di persone ma non per riconoscerle, ove il significato dello stare insieme e dello scambio affettivo è stato sostituito dal compiere azioni e tenere comportamenti volti al consumo o alla fruizione di servizi di massa, fra cui il divertimento.Ci deve essere una possibile mediazione, un necessario punto di incontro fra le esigenze della modernità e della globalizzazione, e quelle del singolo, dell’individuo inserito in una comunità nella quale si identifica e dalla quale ottiene sostegno e riconoscimento: la città degli affetti. Ancora, oggi è necessario ripensare le frontiere superando muri e barriere che fungono da divieto e comportano esclusione, non dimentichiamo a tal proposito che la frontiera è il luogo dell’incontro fra due esseri umani che non si conoscono.
In questo breve riferimento ai popoli migranti, vorrei dire che tale incontro alla frontiera non è mai noto, è sempre ignoto e non è scevro da rischi, pertanto deve essere affrontato e costruito.
Tornando alle città - le città degli affetti - usiamo la prospettiva di ambito di una scienza umana, la psicologia, scienza per l’uomo ed al servizio dell’uomo, nello specifico della Psicologia di Comunità.
Per la Psicologia di Comunità, la città è la comunità locale intesa come quel contesto concreto, visibile, ove le relazioni interpersonali ed il legami sociali assumono specifiche forme di convivenza e partecipazione caratterizzate da solidarietà, fiducia, tolleranza.
Nasce e si sviluppa il senso di attaccamento e di appartenenza; l’identità del singolo passa attraverso l’identità nella e della comunità in cui vive.
Ma è necessario che la propria città sia un luogo dove si vive bene; tale infatti è la città che previene i disagi dei singoli e della collettività, attraverso un welfare inteso come risposta ai bisogni che niente imponga o conceda ma sia in grado di attivare risorse e produrre cambiamenti volti alla crescita della comunità.
Una città dove si vive male è invece una città che antepone "altro" agli interessi della collettività, che non riesce a sviluppare, in chi la abita, il senso di appartenenza, diciamo di amore. Inoltre è una città che si ammala, non solo in senso affettivo, ma anche fisico.
E’ necessario dunque costruire un’ identità personale che in senso biunivoco si riconosca nell’identità della comunità.
A tal fine devono essere costruiti o riconsiderati gli spazi, i luoghi, le strutture fisiche della città, ma anche i modi di vivere.
Questi si esprimono nelle cerimonie, nelle feste tradizionali, nei rituali e nelle produzioni artistico-culturali locali, si riferiscono a luoghi (pensiamo alla tradizionale processione brindisina del cavallo parato privata del suo luogo di svolgimento: i corsi cittadini / o alla canzone mannaggia allu rimu che ha perso la sua Santa Apollinare di “vieni bedda mia ca’ sciamu a Santa Apullinare”….)
I luoghi che più esprimono tale identità sono il centro della città (che è il suo cuore antico, storia ed anima dei cittadini) ed il contesto naturale che le fa da cornice (monti, fiumi, mari, coste, boschi e radure…).
Una politica delle cose comuni che non consideri in primo piano tali aspetti, è una politica che non fa gli interessi della città e dunque della collettività.
Questo è un aspetto diciamo così “scontato”, ma urge una riflessione su quanto realmente viene realizzato in funzione di questo amore della città e per la città.
Per concludere, riprendendo le concezioni storico filosofiche sulla natura e la funzione delle comunità cittadine, dobbiamo interrogarci sul perché le nostre città, i luoghi in cui viviamo, già da tempo abbiano perso la caratteristica di città degli affetti.

Durkheim, padre della sociologia moderna, già all’inizio del XX° sec. indicava nell’assenza di relazioni sociali una delle principali cause di suicidio.
Da Platone, per il quale la città, costruire la vera città, significa seguire le ragioni del cuore e conoscere l’Uomo ed il suo posto nell’universo;
ad Aristotele, per cui la città rappresenta la realizzazione più profonda dell’essere umano in quanto l’uomo è un animale politico;
ad Agostino il quale ritiene che gli individui all’interno delle città perdano la loro individualità per orientarsi su esigenze comuni;
alla Città del Sole di Campanella ed all’Utopia di Tommaso Moro, passando per le Città Invisibili del contemporaneo Calvino, interroghiamoci sul presente e sul futuro della nostra città.
                                                        Iacopina Mariolo  

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giovedì 12 aprile 2012

Il crollo delle certezze

Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi ( era il 16 novembre del 1989) abbiamo assistito progressivamente  alla trasformazione o meglio dissoluzione delle certezze diciamo così storiche, del concetto e dell’ideologia  degli schieramenti, del dentro o fuori, del bianco e nero, del comunismo e del capitalismo.
Senza scivolare in interpretazioni storiche, per le quali ci sono ben altre penne di esperti, quanto accade oggi è frutto di quel progressivo processo distruttivo degli ideali e dei suoi eroi ( positivi o negativi ) senza l’opportuno ricambio o trasformazione  in nuovi ideali, nuovi eroi.
Viviamo dunque in una sorta di obnubilamento delle coscienze in cui tutta l’energia psichica e mentale  di quelli che oggi dovrebbero avere a cuore le sorti dell’umanità, viene destinata al mantenimento di uno status quo  che di fatto prevede:
- la simbiosi fra potere  e ricchezza ;
- lo stato di estrema povertà dei paesi destinati in tal modo ad essere definiti   per     sempre il TERZO MONDO;
- l’allargamento ai paesi definiti industrializzati, (G20 e G8) del disagio e dell’estremo degrado sociale ed economico;
- la distruzione di quel  senso dell’umanesimo che si pensava avesse guidato la scienza ed il progresso tecnologico dalla scoperta dei vaccini e degli antibiotici, inteso come impegno morale( etico) rivolto all’umanità e che in quanto tale  comprendeva anche i termini pietas, empatia, benessere dell’individuo e della collettività.
- il progresso negativo, inversamente proporzionale al ben - essere inteso come soddisfacimento dei bisogni, inclusi quelli primari per la sopravvivenza

Le voci del disagio non vengono raccolte e si procede verso gli obiettivi posti in funzione dei punti su esposti con determinazione, ostinazione quasi l’umanità avesse un unico bubbone da estirpare con taglio chirurgico sapiente : l’anima o psiche.

Comprendo perché accade, ma non giustifico o considero  utile o necessaria tale sapiente azione alla quale assistiamo quotidianamente, vorrei che il welfare tornasse ad occuparsi di welfare, assistenza, risposta ai bisogni della gente e costruzione di civiltà e progresso attraverso queste risposte.

Cara MINISTRA FORNERO, da donna a donna Le rivolgo alcune domande: quando l’attenzione dell’istituzione che gestisce e rappresenta verrà rivolta  alla cura dei più deboli ? Quando procederà ad elaborare un piano di intervento globale in risposta ai bisogni della collettività? Perché si è pensato solo ai tagli e non si è prodotta alcuna strategia di sostegno per gli individui, peraltro OBBLIGATORIA in un momento di grave crisi?

E da cuore a cuore : sarà pur vero e scientificamente provato  dalle ricerche in ambito psicologico e psichiatrico che il suicidio ha alla base un disagio preesistente all’evento, ma tali ricerche hanno anche evidenziato che in assenza di un fattore scatenante o dove si intervenga positivamente sostenendo l’individuo che affronta una situazione di  stress psichico, le condotte suicidarie non vengono manifestate.
E’ d‘uopo non solo meditare, ma AGIRE con interventi atti a sostenere e rimuovere, per quanto  possibile, tale disagio.

La vita ( e direi per fortuna) non è un trattato di economia ed alla psiche non servono lezioni di strategie economico – finanziarie !   

Brindisi, 11/04/2012                                     Iacopina  Mariolo