Italia21

giovedì 22 dicembre 2016

Come nasce l’amore: viaggio alla scoperta di territori inesplorati della nostra psiche.








Abbiamo mai pensato o immaginato di vestirci da esploratori e di partire alla scoperta di parti ignote di noi e degli altri o di quelle situazioni e contesti che ci par di conoscere da tempo, che ci appaiono scontati, banali, noiosi a volte per la loro prevedibilità e per la conoscenza che di essi possediamo?

Qualche esempio.

Se entro in  contatto con una persona che pur conosco da immemorabile tempo con l’intento di coglierne parti meno note se non nuove, quindi con fine conoscitivo, scoprirò elementi a dir poco sorprendenti e se la mia azione è guidata dalla volontà di far emergere aspetti positivi dell’altro, ai miei occhi appariranno sentieri inesplorati che arricchiscono la relazione fino a renderla straordinaria in maniera non prevista.

Se alla stessa maniera percorriamo il viaggio in maniera introspettiva ( cioè  dentro di noi ) è possibile scoprire parti di noi ancora ignote, delle quali cioè non abbiamo conoscenza e dunque consapevolezza.
Penso che l’amore entri a far parte di quest’area  che per divenire fruibile  debba essere riconosciuta come tale.
L’amore non è universale , cioè oggettivamente provato e presente indipendentemente dalle condizioni dell’esistente, penso che sia un gesto che non nasce spontaneo ma che debba essere edificato grazie alla cura ed all’attenzione che rivolgiamo in primis a noi e quindi all’alterità, siano individui, ma anche ideali, valori, o passioni personali.



Sebbene alcune teorici della psicologia sociale  riconoscano l’esistenza di un istinto sociale nell’essere umano inteso come impulso di base e quindi non costruito grazie al social learning (apprendimento sociale) ma come comportamento innato; sebbene Freud riconosca nell’istinto di vita ( Eros) il motore energetico ( la libido) che guida l’essere umano verso le realizzazioni  costruttive, creative oltre che  volte ad ottenere gioia e piacere, l’amore è altro, ed è fuorviante ricercarne la presenza assoluta ed indipendente dalla volontà dell’esistente.

Varie le forme di amore, legate alle fasi del nostro ciclo di vita, alle esperienze presenti e passate, ma da una certa età in poi, alla ricerca interiore che porta con sé nuove consapevolezze ma anche emozioni, sentimenti e stati d’animo.

Proviamo ad elencare alcune delle sfaccettature dell’amore:
amore di sé, per i propri familiari, per gli amici, per un’idea, un ideale, una passione, l’amor patrio, l’amore per l’ambiente naturale, per gli animali; estendendo il concetto, amore  per il proprio lavoro, la propria abitazione, la città in cui si è nati o si vive…


Ma siamo in grado di amare in maniera incondizionata oltre il senso del limite a noi imposto da regole, convenzioni sociali, aspetti culturali o legati ai nostri ruoli ed aspettative?


No, ed è giusto che sia così. Abbiamo bisogno di confini, di linee che delimitino spazi privati e personali per una corretta interpretazione della realtà , di quanto accade fuori ma anche dentro di noi. La nostra salute mentale dipende anche da questo senso del limite personale che ci consente appunto di compiere un corretto esame di realtà e di mettere a punto i comportamenti idonei ad un contesto, ad una situazione che ci vede coinvolti come attori, fruitori, oggetti di relazione  o partnership.


Nelle relazioni con l’altro da noi dunque l’amore come guizzo di un istante  rivolto ad uno sconosciuto o ad un estraneo agli affetti, o come espressione o consolidamento di un rapporto, ha sempre la medesima origine: bisogna fermarsi , cercare in noi  e nell’altro con empatia quella scintilla  che ha origine dalla scoperta di un territorio  ove colgo una realtà che non mi appartiene ma che il mio sentire intuisce e condivide.


Se così fosse, se impiegassimo anche pochi istanti del nostro tempo a disposizione alla scoperta di questi territori che per molti di noi rimangono inesplorati , molte situazioni  a volte spiacevoli e dolorose porterebbero ad un arricchimento personale  e della relazione umana.


Alcuni esempi di azioni e gesti in cui l’amore può esser presenza se pur fugace : l’educatore che deve  esprimere una valutazione o dare una punizione, il giudice che deve impartire una pena, il datore di lavoro in procinto  di licenziare, il politico che può con un sol atto deliberativo decidere delle sorti  di una comunità…


Brindisi, 13/13/2016                                  Iacopina Maiolo
















giovedì 24 novembre 2016

La casa dell’anima





Parlare oggi di anima appare fuori luogo ed il termine quasi obsoleto.

A Carl Justav  Jung (18751961) uno dei padri della psicoanalisi, dobbiamo  la teorizzazione dell’esistenza, nella psiche, di due elementi distinti ma intercomunicanti come due parti di un tutto, il doppio aspetto che caratterizza l’essere umano : l’animus e l’anima.

Presenti nell’inconscio collettivo, e quindi esistenti  come materia primordiale costituente dell’inconscio indipendentemente dal tempo, dalla cultura  e dalla società, rappresentano l’uno la parte maschile, l’una la parte femminile.

Anima è il femminile interiorizzato , Animus il maschile, presenti in ogni individuo indipendentemente dal sesso di genere.

Con Jung dunque possiamo dire che il concetto  strettamente religioso del termine  viene traslato (trasferito) nell’area di pertinenza psichica.

All’anima, intesa  nella cultura religiosa come la  parte divina che è in noi, tuttavia già nell’antichità con Socrate e poi  Cartesio, Kant ed Hegel ( per citarne alcuni ) erano state attribuite in modi diversi caratteristiche umane e legate all’esistente.

Il dibattito su cosa sia l’anima e dove alberghi rimane tuttavia aperto alla luce del materialismo della civiltà postindustriale del terzo millennio.

Se la scienza e la ricerca in campo medico definiscono  in maniera sempre più adeguata e corretta i processi neurofisiologici alla base di comportamenti legati alla sfera emozionale e del “sentire”, il percorso interpretativo  e la relativa area di interesse per le persone comuni, sembrano  relegati nelle cantine dell’inconscio, senza avvertire il bisogno di recuperare, come si fa con un buon vino di annata,  quelle componenti che hanno reso  l’anima ed il suo sentire indispensabili per la completezza e l’elevazione dell’essere umano.

Come sia stato possibile un  simile processo involutivo è una questione di cui si dovrebbe dibattere per evitare la perdita definitiva o la messa in rimozione di quei meccanismi non razionali ( o meglio intangibili ) costitutivi e caratterizzanti l’essere umano.



Esaminiamo, alla luce dei  cambiamenti culturali, sociali  e di costume, come siano mutate alcune espressioni che descrivono il coinvolgimento dell’anima e del suo sentire:

-        fare l’amore considerato ormai  obsoleto è stato sostituito da tempo dal fare sesso

-        provare una forte emozione nel gergo comune è botta di adrenalina

-        l’innamoramento e le sue sensazioni si traducono in avere le farfalle nello stomaco



L’elenco si allunga se inseriamo la lunga  serie di emoticons, alternative grafico espressive alla descrizione di stati d’animo.



Le sensazioni dell’anima espresse in maniera poetica  ma anche unica, soggettiva, poiché la descrizione altro non può essere che quanto avvertito a livello individuale e differente da individuo ad individuo, appartengono ormai al passato e le alternative che la maggior parte delle persone unite nella rete globalizzante della multimedialità usa , al confronto sono rozze, basse ( cioè istintuali contrapposte all’elevazione dell’anima ), ahimé , spesso volgari.

Proviamo dunque a recuperare gli aspetti di un sentire profondo,  tipici dell’essere umano , perché non dimentichiamolo, l’anima ha dimora in  ognuno di noi  e tutti siamo poeti  pur senza essere Leopardi …


Brindisi, 24/11/2016                                          Iacopina Maiolo

giovedì 27 ottobre 2016

Accoglienza migranti




 

 


Ma in Italia esiste una mappatura dei paesi, cittadine, luoghi come borghi o frazioni quasi del tutto abbandonati ormai per il mutamento economico - sociale e culturale ?

Mi riferisco  a contesti che appaiono obsoleti sia per le condizioni di vita ( stile ed abitudini ) che per la struttura economica, indebolita e poi annientata dall’abbandono di attività quali l’agricoltura, l’allevamento di animali, la preparazione di prodotti ortofrutticoli e legati alla pastorizia ….

L’industrializzazione e fenomeni quali la globalizzazione ci hanno resi gradualmente sempre più distanti dal quel modus vivendi che fondava il sostentamento quotidiano  sull’uso di  mezzi di produzione diretta e consumo immediato ad uso  privato non escludendone la vendita  per trarne un profitto. 

Girando per borghi e paesi anche solo attraverso un viaggio in autostrada cogliendone gli scorci da lontano, la percezione di un Italia da riciclare nelle sue bellezze e risorse materiali, appare evidente attraverso la successiva ricognizione  mediante guide turistiche forse obsolete perché il presente ha cancellato progressivamente quei luoghi lasciandoli dimora di pochi disperati, in genere anziani, chiudendo progressivamente scuole, uffici, servizi vari ma, in primis quelle attività magari radicate e parte integrante della storia  e dell’economia dei medesimi.



Veniamo al dunque: cosa intendiamo fare? Condurre al degrado totale  bellezze e risorse potenziali del nostro Bel paese sullo stile delle città fantasma  del west america  o tentare di trovare soluzioni alternative?

Quindi, quali potrebbero essere le proposte da passare al vaglio?



Ce n’è una che da un po’ mi ronza nella testa  in questo clima di caccia al migrante che squalifica agli occhi di chi continua a vivere di buone intenzioni ed azioni, quanti  esprimono  un odio razziale  del tutto insospettabile: buoni, magari teneri e, diciamolo in maniera esaustiva, umani, divengono repentinamente cacciatori di teste quando si tocca l’argomento migranti.

Se il povero Fracchia ( interpretato da Paolo Villaggio) dei tempi andati diceva al dirigente “ quanto è umano lei…” mentre veniva sottoposto alle torture più  temibili, gli attuali  cacciatori di migranti  rivendicano un’ umanità che stride  con comportamenti ed espressioni nazi - gestapo mista a slogan da curva sud .

 Nouveaux économistes inoltre, vedono  il pil 
strettamente collegato all’accoglienza dei migranti o 
alla chiusura delle frontiere con filo 
spinato, alta tensione, mine antiuomo o altro deterrente 
violento…
Ma veniamo alla proposta : ripopolare i borghi, riprendere quelle attività abbandonate o in fase di inevitabile fine , sostenere gli anziani dei luoghi… insomma ripopolare diciamo così i villaggi, riaprire le scuole con i nostri insegnanti disoccupati o precari, riattivare quanto di attivo e produttivo c’è intorno ad un nucleo abitativo con l’ausilio dell’inserimento dei migranti .

Destinati non alla liquidità del sistema neocapitalistico e multimediale che illumina gli occhi e le menti di queste persone scampate a guerre, fame, povertà totale e morte sicura, BENVENUTI IN ITALIA potrebbe essere per i migranti un progetto di costruzione di radici nuove, usando  canali e solchi  già  esistenti, scavati dalle genti  che hanno vissuto e lavorato  nella nostra Italia.

Devo dire che accetterei se mi proponessero  una simile prospettiva di inserimento nel tessuto sociale di un altro paese, perché mi offrirebbe l’opportunità di ricostruire  una vita  dignitosa con significati e valori e con l’obiettivo di una piena integrazione in un luogo altrimenti straniero.

Mi chiedo se loro accetterebbero.. i migranti… è giusto chiederselo.

Sono accecati come noi dal mito della globalizzazione e delle città metropolitane? Possiamo avanzare la proposta ma prima è necessario costruirla, una simile strategia di integrazione.

E’ necessario costruire progetti  e proposte creative, dall’immaginazione al potere, slogan coniato negli anni delle lotte studentesche da un’opera del filosofo H.Marcuse  per indicare una modalità rivoluzionaria di gestire le istituzioni e la politica, sono  passati più di 40 anni, ma stiamo vivendo un progressivo processo involutivo.

" Sig. Presidente del Consiglio, non crede che lei e  la sua squadra di governo seguiate  percorsi troppo razionali e non intravediate altre vie  se non quelle prodotte a tavolino per far quadrare i conti  in un paese al collasso per mali  quali la povertà, il disagio sociale, la paralisi  del mercato del lavoro e dei servizi ai cittadini,  e, non da ultimo, come abbiamo inteso rilevare , il fenomeno delle migrazioni e della relativa accoglienza delle popolazioni ?

Certo è che non abbiamo nulla da perdere e tutto da guadagnare, ma non so se e quanto questo modus operandi sia di vostro interesse e competenza."




Brindisi, 27/10/2016                                             Iacopina  Maiolo

venerdì 2 settembre 2016

Festa santi patroni di Brindisi : fuochi di artificio si o no?




I fuochi di artificio, definizione un tempo usata ed ora sostituita dalla più corretta dal punto di vista etimologico , fuochi pirotecnici ( dal greco  phir  fuoco e techné  arte  = arte di fare – costruire fuochi ) , hanno da sempre accompagnato  sagre, feste patronali, kermesse e manifestazioni di vario tipo , nel luogo di svolgimento delle medesime.
Accompagnati dal pianto dei bimbi atterriti per gli improvvisi e perciò imprevedibili scoppi e dalle manifestazioni di angoscia e pavor da parte degli animali domestici , in particolare sono  i  cani dall’ultrasensibile udito ad esserne spaventati, ma mi riferiscono anche di coniglietti che si rintanano in improbabili buchi di emergenza, per non parlare di quanti, liberi, girano nell’atmosfera ( gli uccellli ) , i fuochi sono espressione e sinonimo di festa , tanto da essere ormai associati a festeggiamenti di vario tipo ( anche privati come compleanni anniversari…).
E’ tuttavia inevitabile porsi un quesito : rappresentano ad oggi un’espressione in sintonia con l’epoca storica che attraversiamo, sono ancora  una modalità opportuna di condivisione di momenti di gioia collettiva ?
Certo è che :
  • Viviamo un fenomeno di guerra continua ed estenuante . Per i paesi che da  sempre sono travolti da ostilità belliche , per gli atti di terrorismo  e di aggressione nei riguardi della vita di popolazioni vittime inermi di un sistema barbarico
  • Ogni anno si contano i feriti ( ma anche ahimé i morti nelle industrie e nei luoghi di costruzione dei fuochi) in occasione dei festeggiamenti di fine anno
  • Esistono alternative valide  per cui le industrie di costruzione, quasi tutte artigianali e legate all’economia di famiglie ed interi paesi, potrebbero traslare la loro attività in realizzazioni oltre che innocue anche di suggestiva  evidenza quali le magiche lanterne, le girandole, le fontane, tutti i fuochi ad accensione e realizzazione in terra . Mio figlio, un esperto del settore  tanto da essere denominato il fuochista in tempi non sospetti , oggi penso che se dovesse impegnarsi nella produzione pirotecnica opterebbe per una azienda di palloncini e luminarie
  • In un sistema che affronta una grave crisi economico-sociale, sarebbe il caso di operare una giusta spending review con opportuni tagli a siffatte spese ed il reinvestimento in altre attività, magari di carattere sociale.
 Quest’ultima opzione è compito delle autonomie locali  che ben farebbero ad incrementare il proprio salvadanaio , data la penuria di fondi.
La questione fuochi SI o NO è oggi dibattuta  in relazione ai festeggiamenti patronali in corso ed all’opportunità di destinare  tale spesa in favore delle popolazioni colpite dal sisma. Il comune di Brindisi ha optato per lo svolgimento dei fuochi pirotecnici , altri comuni più virtuosi ( ad esempio Ostuni) hanno ritenuto corretto compiere un gesto di solidarietà  e di cordoglio con la sospensione.
Ma i brindisini purtroppo seguono i fuochi fatui.. si accontentano di una festa patronale e non rivendicano temi fondamentali quali il diritto al lavoro, una città pulita, servizi utili e gratuiti per la comunità…

Brindisi,02/09/2016                                                                        Iacopina Maiolo


giovedì 18 agosto 2016

Chiedimi se sono felice



Parafrasando il titolo di un noto film del 2000 del trio Aldo - Giovanni e Giacomo e riferendo l’ingiunzione ( il taglio diretto dell’espressione la rende tale , infatti non si afferma - potresti chiedermi se sono felice – ma si pone in maniera secca una condizione che più che un invito pare un comando ) alla  richiesta di comprensione che un essere umano altro da noi potrebbe richiedere, seguono alcune considerazioni sull’empatia  che si spera possano divenire spunti di riflessione in un momento storico in cui i comportamenti umani appaiono dettati da spinte emozionali volte alla distruzione più che  all’accettazione ed alla comprensione.

Il punto focale della questione è che forse ( lasciamo il dubbio ) abbiamo perso il senso umano dell’esistente e dell’esistere, trasformati in soggetti che consumano e disperdono energie psichiche in investimenti illusori  perché effimeri ( in relazione alla durata ed al significato essenziale ).

In tal maniera l’altro da noi perde la  caratteristica di soggetto , di  co-attore di uno spazio condiviso ( la relazione) e diviene per noi egli stesso oggetto : dall’identità di persona al genere di cosa ed in quanto tale da usare come oggetto di consumo per i propri bisogni ed interessi.

In questo contesto di sfruttamento e di uso della relazione umana e dei sentimenti ad essa collegati  oltre a non trovare spazio l’empatia ( dal greco ev pathos = sentire dentro , condividere uno stato d’animo od un sentimento che  prova un‘altra persona ), è bene chiedersi quale possibilità di ascolto ed accoglienza esista  per chi lancia una richiesta di aiuto…

Umanamente corretto , oltre che opportuno per il superamento del degrado e della barbarie che rendono le relazioni fra le persone improntate a comportamenti distruttivi, sarebbe , tornando alla frase  citata , chiedersi se l’altro sia felice  aprendo in questo modo  uno spazio di dialogo volto all’accoglienza di un disagio ove esistente o all’espressione di un bisogno, di un desiderio mai comunicato che di sicuro andrebbe ad arricchire la relazione .


Un altro aspetto fondamentale riguarda la fiducia che riponiamo nell’altro, e la forza (resilienza) che possediamo nell’affrontare la frustrazione  che può derivare da un rifiuto.

Chiedimi se sono felice” è quella richiesta che posso fare  in modo diretto , senza rimanere in attesa che l’altro comprenda il mio stato  emotivo e psichico ed agisca di conseguenza.



Vale la pena di provare e di non desistere , così come dice la canzone di Baglioni :

        

strada facendo vedrai
che non sei più da solo
strada facendo troverai
un gancio in mezzo al cielo….



Brindisi, 18/06/2016                                      Iacopina Maiolo

mercoledì 17 agosto 2016

Il nostro caro angelo







Strani tempi….duri…oscuri e poco inclini alla misericordia umana, quella che agisce in funzione dell’essere umano verso se stesso e verso quanto lo circonda, sia esso ambiente, animale, oggetto o luogo da assistere e tenere in “cura” .

Viviamo in contesti ove i bimbi ignari subiscono vessazioni ed atti fisicamente lesivi per il semplice motivo  di essere stati lasciati nel ricovero sbagliato ( dove insegnanti erinni svolgono il loro feroce mestiere) ; poveri bimbi contemporaneamente oggetti di amore possessivo-ossessivo  e di dimenticanza e trascuratezza estreme .



“ Sulla tua lapide , figlio mio , mio caro piccolo adorato e ragione della mia vita, scriverò che in quel momento ero intento inseguire un mio pensiero,un progetto, un dolore, un ricordo magari gioioso  o perché no un contatto wathsApp se non un POKEMON  apparso improvvisamente

! E’  solo per questo motivo, credimi e perdonami,  che ho chiuso l’auto, anzi ho anche messo il parasole sul parabrezza, altrimenti al rientro, con il volante in fiamme per la calura estiva mi sarei ustionata/o le mani.. Scusami ancora se non ho pensato che tu potessi essere lì, legato a quel seggiolino che ho sempre usato per la tua sicurezza in auto.  Mai lasciare i piccoli liberi sul sedile perché in caso di incidente non si sa mai come va a finire..i bambini sono i primi a morire, io sono sempre stata/o un genitore responsabile ed intransigente rispetto alla tua sicurezza, questo lo sai bene, infatti ricordi, sotto il cuscino della culla ove riposavi non doveva mancare il baby controller, che collegava te a me, noi uniti sempre, anche di notte…Solo che adesso un tragico destino ci ha separati: lo stress, lui è il colpevole, lo hanno detto anche i giudici, avevo troppi pensieri per la testa.. anche gravi, lo sai? Ma tu sei un bimbo queste cose non le comprendi, ora so che sei fra gli angeli e magari sei anche un po’ felice, ormai mi sono convinta/o che doveva andare così e sento che mi hai già perdonato/a.  Anzi, abbiamo pensato di darti un fratellino che ameremo e seguiremo come abbiamo fatto con te!”



Che Dio ci perdoni per chi è credente e chi non lo é coltivi la speranza che possa nascere una nuova coscienza del vivere .

…ma in questo contesto  tragico e contemporaneamente grottesco non sembra di essere agli albori di un nuovo umanesimo!



Vivere per credere.



Brindisi                                       Iacopina Maiolo            17/08/2016                                                                                                                     


giovedì 26 maggio 2016

Dalla parte dei giovani




Loro sono i nostri figli, nipoti, cugini…
Essere genitori, , zii-e, nonni, ma anche insegnanti ed altre figure significative, induce responsabilità connesse al ruolo educativo che non cessa mai di esistere indipendentemente dall’età anagrafica :  ad esempio mi piace poter apprendere da un/una settantenne - ottantenne  poiché ha sicuramente qualcosa di unico e di insostituibile  da propormi.
Purtroppo viviamo spesso le creature o con senso di proprietà ( ogni scarrafone è….) o con atteggiamento competitivo ( ai miei tempi eravamo… oggi invece i giovani….) o ancora punitivo ( ma cosa vogliono, sono superficiali, arroganti..).
Questi alcuni della miriade di atteggiamenti, reazioni, risposte, emozioni e stati d’animo che caratterizzano modalità di azione  e di relazione nell’odierna società nei riguardi della fascia di età giovanile e giovanile adulta ( dai 18 ai 40  volendo  riferirsi ad un range abbastanza vasto).
Il dialogo fra generazioni è espressione di una società sana, che costruisce il cammino in divenire raccogliendo e stratificando esperienze ( memorie storiche) che si incastrano come tessere di un puzzle. In questa accezione l’opera storica dei singoli appare unica ed insostituibile,  così come quella biologica del DNA : da una parte trasferiamo eventi, comportamenti, stili di vita e modus operandi, dall’altra geni e catene di acido desossiribonucleico.
Quando la società o i contesti di riferimento sono o divengono meno sani, si perde quel flusso che dovrebbe ininterrottamente mantenere in relazione sistemi quali gli individui, i ruoli e le  classi di appartenenza ( socioeconomiche , psicologiche ed evolutive), i sistemi geopolitici  nazionali ed internazionali ... in un’ottica che consideri aspetti micro e macrosistemici.
Le divisioni divengono rigide, nascono confini, corporativismi, ci si ammala di egocentrismo ed autoreferenzialità, si perde la dimensione della globalità e di quella circolarità che  unisce malgrado le differenze  e le distanze; in particolare si congela quella dimensione storica che  dovrebbe condurre una società arricchita dalla storia dei singoli e della collettività, verso l’acquisizione e la conquista di progressive e nuove tappe di civiltà.

Ecco, nel nostro contesto  che risponde più ai criteri  di malattia che di sana evoluzione, essere giovani è una delle imprese più dure che un essere umano possa sostenere.
E’ vero che spesso mancano le consapevolezze ( e le conoscenze ) che dovrebbero sostenere la ricerca di percorsi idonei ed opportuni ed allora si cade in quegli eccessi disperati che conosciamo ( uso e dipendenza da sostanze, devianze sociali, disagio psichico…), ma è pur vero che anche i buoni intenzionati si scontrano con la dura realtà che è fatta di paradossi, contraddizioni, falsità ed ipocrisie, uso  di leggi, strumenti sociali di aiuto e sostegno a scopo di lucro o vantaggio personale e di casta…

In sintesi
Ai giovani vorrei dire: “acquisite senso critico, analizzate eventi e situazioni onde evitare di essere strumentalizzati da chi sulla vostra pelle costruisce interessi personali, economici e di sistema.
Allo stesso tempo non cessate di amare la vita, la vostra energia ha lo scopo di indirizzare la storia  verso mete e traguardi di evoluzione  positiva”.

A noi, generazioni di adulti  - adulti : “ allarghiamo il cuore e la disposizione d’animo all’accoglienza , alla fiducia ed usando un termine caduto in disuso nell’accezione primordiale che lo caratterizza… all’AMORE .
Aggiungerei , e non ultimi in quanto ad importanza, il piacere e la gratificazione  che  derivano  dall’attenzione e dalla cura educativa dei giovani!

Brindisi, 26/05/2016                                             Iacopina  Maiolo






giovedì 21 aprile 2016

Città da amare : le città degli affetti





            Si chiamano corsi e ricorsi della storia, quanto segue è stato da me postato in occasioni delle trascorse elezioni ( in data 20/04/2012), lo ripropongo oggi, sorpresa ( ma era prevedibile) dalle mancate risposte fornite dalle varie amministrazioni comunali e dall' assenza di empatia mostrata nei confronti degli abitanti e delle loro problematiche!  

Ad un passo dalle elezioni amministrative, in un momento in cui la battaglia fra gli schieramenti diventa infuocata, voglio offrire un piccolo contributo: alcune riflessioni che possono essere utili a noi elettori per giungere ad un voto consapevole e guidato da buone intenzioni. Partiamo dall’etimologia della parola città.
Il termine città deriva dall'analogo latino civitas, ed ha la stessa etimologia di civiltà. Possiamo dunque affermare che città e civiltà si equivalgono almeno da un punto di vista etimologico.Ma cosa rappresenta una città?
Ogni città ha un feeling unico, dato dai ritmi cittadini, un orologio interno, una dimensione spazio-temporale specifica.
Le città, infatti, non sono tutte uguali. Diversi sono anche gli ambienti naturali in cui si collocano: una città sul mare - come Brindisi - con uno splendido porto e splendide oasi marine circostanti, ha caratteristiche proprie, specifiche del contesto in cui si colloca. Logico pensare che ogni intervento ad essa rivolto, deve essere modulato in base a tali caratteristiche con attenzione e specificità.
Diversi sono anche i bisogni delle cittadinanze, definiti ed espressi localmente, dai contesti sociali, culturali, economici di riferimento.Uguali tuttavia sono le premesse, le basi che guidano e motivano l’origine, la nascita, la costituzione delle città: le città rappresentano i luoghi dello stare e del fare insieme.Le città sono nate per fornire sostegno e risposta ai bisogni affettivi, sociali ed economici degli individui. Alla base ci sono le relazioni fra coloro che le abitano.Oggi questi luoghi colmi di valori affettivi, acquistano sempre più le caratteristiche di “non luoghi”, definiti dall’antropologo Marc Augé come quei luoghi creati dalla globalizzazione: i luoghi della perdita dell’identità, quegli spazi definiti iper, dilatati per accogliere migliaia di persone ma non per riconoscerle, ove il significato dello stare insieme e dello scambio affettivo è stato sostituito dal compiere azioni e tenere comportamenti volti al consumo o alla fruizione di servizi di massa, fra cui il divertimento.Ci deve essere una possibile mediazione, un necessario punto di incontro fra le esigenze della modernità e della globalizzazione, e quelle del singolo, dell’individuo inserito in una comunità nella quale si identifica e dalla quale ottiene sostegno e riconoscimento: la città degli affetti. Ancora, oggi è necessario ripensare le frontiere superando muri e barriere che fungono da divieto e comportano esclusione, non dimentichiamo a tal proposito che la frontiera è il luogo dell’incontro fra due esseri umani che non si conoscono.
In questo breve riferimento ai popoli migranti, vorrei dire che tale incontro alla frontiera non è mai noto, è sempre ignoto e non è scevro da rischi, pertanto deve essere affrontato e costruito. Tornando alle città - le città degli affetti - usiamo la prospettiva di ambito di una scienza umana, la psicologia, scienza per l’uomo ed al servizio dell’uomo, nello specifico della Psicologia di Comunità.
Per la Psicologia di Comunità, la città è la comunità locale intesa come quel contesto concreto, visibile, ove le relazioni interpersonali ed il legami sociali assumono specifiche forme di convivenza e partecipazione caratterizzate da solidarietà, fiducia, tolleranza.
Nasce e si sviluppa il senso di attaccamento e di appartenenza; l’identità del singolo passa attraverso l’identità nella e della comunità in cui vive.
Ma è necessario che la propria città sia un luogo dove si vive bene; tale infatti è la città che previene i disagi dei singoli e della collettività, attraverso un welfare inteso come risposta ai bisogni che niente imponga o conceda ma sia in grado di attivare risorse e produrre cambiamenti volti alla crescita della comunità.
Una città dove si vive male è invece una città che antepone "altro" agli interessi della collettività, che non riesce a sviluppare, in chi la abita, il senso di appartenenza, diciamo di amore. Inoltre è una città che si ammala, non solo in senso affettivo, ma anche fisico. E’ necessario dunque costruire un’ identità personale che in senso biunivoco si riconosca nell’identità della comunità.
A tal fine devono essere costruiti o riconsiderati gli spazi, i luoghi, le strutture fisiche della città, ma anche i modi di vivere.Questi si esprimono nelle cerimonie, nelle feste tradizionali, nei rituali e nelle produzioni artistico-culturali locali, si riferiscono a luoghi (pensiamo alla tradizionale processione brindisina del cavallo parato privata del suo luogo di svolgimento: i corsi cittadini / o alla canzone mannaggia allu rimu che ha perso la sua Santa Apollinare di “vieni bedda mia ca’ sciamu a Santa Apullinare”….)
I luoghi che più esprimono tale identità sono il centro della città (che è il suo cuore antico, storia ed anima dei cittadini) ed il contesto naturale che le fa da cornice (monti, fiumi, mari, coste, boschi e radure…).Una politica delle cose comuni che non consideri in primo piano tali aspetti, è una politica che non fa gli interessi della città e dunque della collettività.
Questo è un aspetto diciamo così “scontato”, ma urge una riflessione su quanto realmente viene realizzato in funzione di questo amore della città e per la città.Per concludere, riprendendo le concezioni storico filosofiche sulla natura e la funzione delle comunità cittadine, dobbiamo interrogarci sul perché le nostre città, i luoghi in cui viviamo, già da tempo abbiano perso la caratteristica di città degli affetti.

Durkheim, padre della sociologia moderna, già all’inizio del XX° sec. indicava nell’assenza di relazioni sociali una delle principali cause di suicidio.
Da Platone, per il quale la città, costruire la vera città, significa seguire le ragioni del cuore e conoscere l’Uomo ed il suo posto nell’universo;
ad Aristotele, per cui la città rappresenta la realizzazione più profonda dell’essere umano in quanto l’uomo è un animale politico;
ad Agostino il quale ritiene che gli individui all’interno delle città perdano la loro individualità per orientarsi su esigenze comuni;
alla Città del Sole di Campanella ed all’Utopia di Tommaso Moro, passando per le Città Invisibili del contemporaneo Calvino, interroghiamoci sul presente e sul futuro della nostra città. 

Brindisi, 21/04/2016                                                                          Iacopina Maiolo                                

venerdì 1 aprile 2016

2 Aprile – giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo



Conoscere e riconoscere l’autismo è finalmente ritenuto compito della collettività, di quella società che per anni ha giudicato, puntato il dito e colpevolizzato genitori e famiglie, rifiutato ed escluso con la chiusura e l’intolleranza i bambini ed i ragazzi definiti “ autistici” dalle scuole di ogni ordine e grado ( dall’asilo alla scuola superiore).

E’ vero, spesso non sono bambini facili  ma se così fosse non si parlerebbe di una giornata dedicata alla conoscenza in primis delle problematiche che sottendono all’autismo e poi alla consapevolezza, che ha in sé il germe del riconoscimento di quella diversità  che solo se nota può essere accolta e determinare possibilità  e regole di convivenza e relazione.

Speriamo sia questo  l’obiettivo fondamentale, oltre che della giornata, della campagna in atto che prevede spot, trasmissioni e special televisivi.

E’ vero, quale operatore scolastico presente a vario titolo nel mondo della scuola ( insegnanti di sostegno e non , assistenti, psicologi ) o compagno di classe  non ha un ricordo che ha segnato la relazione con lui - lei ? Dall’impossibilità o difficoltà della relazione  che si è espressa  nel gesto aggressivo,  alla nascente socialità segnata dal sorriso  dell’accoglienza e dalla mano tesa o dallo sguardo che inaspettatamente si volge, se pur in maniera fugace, all’interlocutore. Questo è il percorso che in molti possiamo ricordare e narrare per costruire nuovi spazi di condivisione , sanare ferite e dolori inflitti per pregiudizio, superficialità o senso di superiorità, quello che spesso  ci riveste quando l’esperienza non fa parte di noi  e del nostro repertorio di vita.

Lasciamo che nei luoghi opportuni e con le figure idonee per formazione e ruolo ( questa mattina ho visto in un noto programma televisivo ospiti che  tentavano a vario titolo di fornire interpretazioni , offrire risposte e proporre  terapie)  si continui a studiare l’autismo per fornire giuste diagnosi e proposte di  cura e di  intervento.
Oggi faccio mio l’intento narrativo che si sposa con un ricordo….

Da poco ho scoperto che hai l’età del mio figlio più grande, da poco ho avuto il privilegio di essere da te notata tanto da potermi avvicinare mentre mi sbirciavi con l’aria sorniona da dietro un cespuglio…

Certo mi avevi quasi colpita con quella scarpa volata via dal tuo piede con quel gesto studiato che tante volte  avevi ripetuto per attirare attenzione, non volevi farmi del male, questo lo so, ma dirmi che esistevi e che finalmente, avvicinandomi a tuo padre, vi avevo riconosciuto entrambi.
Tuo padre..che dire? In quel parco giochi ti ha condotto per la mano, da bimbo indomito ad oggi adulto nel corpo ma non per testa e cuore.
Ogni pomeriggio al parco giochi del Casale era segnato dalla tua presenza che ingombrante riempiva l’aria di suoni , dalla figura sollecita di tuo padre che ti invitava a giocare, ti tranquillizzava ed a suo modo  accarezzava te che ti mostravi sfuggente  ma a tuo modo sereno per rassicurare quell’uomo che temeva un  gesto inconsulto, ma  forse anche il giudizio di noi, genitori di bambini che venivano definiti normali.
Rivederti oggi mi dice che è come se il tempo fosse fermo ad allora, nella grandezza di tuo padre che in questi anni non ha perso un solo appuntamento con il parco giochi sfidando i rigori invernali e le calure estive, pur di vederti felice.
E’ questo che mi ha detto qualche mese fa, parlandomi di te, della tua maniera di essere adulto eternamente bimbo e del suo amore per te che hai invaso la sua vita con la potenza di un ciclone che ha un nome ma oggi anche una possibilità di conoscenza ed intervento : autismo.

Brindisi,02/04/2016                       Iacopina    Maiolo

 

venerdì 8 gennaio 2016

Mamme per sempre



E’ difficile ( per certi versi impossibile ) entrare nel tema angosciante degli infanticidi rivolti ai propri figli conservando l’oggettività e la lucidità necessarie per tentare un canovaccio interpretativo o anche solo per esprimere un parere, se non si è in un talk-show fra luci , cerone , conduttori patinati e vip. 

L’impatto emozionale è infatti dirompente e suscita in chi lo vive difese di vario tipo , quella più immediata  l’accusa, il giudizio estremo che condanna  senza mai spiegare o conoscere, la distanza totale che annienta qualsiasi forma di empatia o contatto se pur minimo.


Se è il padre a commettere l’atto estremo nei confronti del proprio figlio, l’episodio ha un impatto minore, sebbene anche in questo caso il giudizio sia estremo, ma viene archiviato con più facilità  e spesso le coscienze di noi osservatori  non ne serbano memoria come nel caso materno.
Numerosi i racconti mitologici sul tema, in particolare di origine greca. Il classico caso di Medea, che è stato rappresentato in più versioni nella tragedia greca, seguendo la versione di Euripide (V secolo a.c.), rappresenta la donna madre che uccide i propri figli per vendetta e troppo amore nei confronti di Giasone, colpevole dell’abbandono per convolare a nozze con una principessa greca.

La mitologia non trascura il figlicidio paterno, che sempre nel mito greco compare più volte, ma a differenza di quello materno, il cui denominatore comune come abbiamo visto per Medea è il troppo amore o la vendetta, è legato ai temi dell’errore , della follia , ma anche della punizione ( padri  punitori soprattutto di figlie ) e del sacrificio ( figli  come vittime sacrificali ).

Quest’ultimo aspetto è presente in varie culture e tradizioni mitologiche, ad esempio è il fulcro dell’episodio biblico di Abramo  e Isacco , tramandato dall’esegesi ebraica,

Entrando nel racconto, come ben sappiamo, Dio, per mettere alla prova la fede di Abramo, gli ordina di sacrificare il proprio figlio Isacco. Abramo, pur profondamente addolorato obbedisce senza esitare, ma  mentre sta per compiere il sacrificio, con la mano alzata ed armata di coltello, un angelo del Signore scende a bloccarlo e fa comparire  un ariete da immolare come sacrificio sostitutivo.

L’uccisione qui appare possibile, dunque consentita, giustificata dall’ingiunzione divina e trova un padre consenziente che non ha l’intenzione di opporsi al volere di Dio. Tuttavia, pur non comparendo una posizione divina contraria all’infanticidio del figlio, l’intervento tramite il suo angelo è volto ad interrompere l’azione cruenta"hai fatto questa cosa e non hai trattenuto tuo figlio, il tuo unico, io di sicuro ti benedirò e di sicuro moltiplicherò il tuo seme come le stelle dei cieli e come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare; e il tuo seme prenderà possesso della porta dei suoi nemici. E per mezzo del tuo seme tutte le nazioni della terra certamente si benediranno per il fatto che tu hai ascoltato la mia voce » (Genesi 22:10-18).
Se il risultato è la salvezza di Isacco  e la liberazione dal ruolo di padre uccisore per Abramo, non compare tuttavia un’opposizione morale al delitto, come invece  nel giudizio  che Dio rivolge a Caino dopo l’uccisione di Abele : Allora il Signore disse a Caino: « Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”( Genesi,4 ).

L’interpretazione del testo biblico non è sicuramente di facile realizzazione, necessita di una lettura attenta a fattori antropologici, culturali e storico - sociali , tuttavia l’evidenza è che il fratricidio è aspramente condannato, il figlicidio no, anzi viene suscitato per provare devozione e fedeltà al volere divino. E’ come se il figlio fosse proprietà genitoriale da usare quale  ed al posto del capro ( l’agnello sacrificale)  in questo il volere di Dio Padre ( non trascuriamo che Dio è padre di entrambi, Abramo ed Isacco) è determinato e non lascia possibilità di scelta.



L’elemento di raccordo fra i miti citati ( anche negli altri miti relativi all’infanticidio per mano genitoriale è presente univocità ) è il possesso dei figli, il sentirli proprietà esclusiva del genitore, che ha la facoltà di decidere della sua vita , mentre al figlio non è mai dato di opporsi o reagire.



Trasferiamo ad oggi qualche spunto per così dire arcaico, da un’indagine del 2014 ad opera dell’ Associazione Meter Onlus, emerge una drammaticità forse sconosciuta: in Italia una madre o un padre ogni settimana uccidono o tentano di uccidere 3-4 figli con una media di circa 170 bambini vittime in un anno. Le vittime sono bimbi di pochi anni o neonati. Secondo l’indagine “raptus, conflitti tra i genitori per le separazioni, situazioni di disagio, le principali motivazioni “.



Riprendendo il tema iniziale della madre coinvolta nel fenomeno, i dati si intrecciano con quelli relativi alle  sindromi tipicamente femminili legate al parto ed al postpartum a breve e a lungo termine.

·       Il baby blues ( stato fortemente emotivo caratterizzato da crisi di pianto, senso di inadeguatezza, affaticamento…)si manifesta nell’immediatezza del parto ed ha la durata di poche settimane;

·       la depressione post partum ha il suo esordio a poche settimane dal parto  fino ad un anno di vita del neonato ed ha un’evoluzione più lunga ;

·       altre manifestazioni fra cui disturbi dissociativi e manifestazioni di tipo delirante e dissociativo (la psicosi denominata puerperale,) e disturbi dissociativi.



Ma il dato che più colpisce è che circa il 49% delle forme di disagio psichico legate al parto, non vengono diagnosticate e rimangono come un fenomeno sommerso  e quindi non soggetto ad alcun tipo di intervento.

Chiedendoci perché una madre giunga ad uccidere il proprio bambino  non troveremo mai una risposta univoca ed esaustiva, i fattori si intrecciano in una trama che non sempre consente la prevedibilità del fenomeno, ma di prevenzione si, è possibile parlare e costruire interventi che delineino percorsi di sostegno e di aiuto alla madre, alla coppia , alla comunità…



Tornando al senso di proprietà di cui parlavamo in relazione ai figlicidi mitologici, un’ipotesi da porre e sottoporre ad indagine è la stretta relazione che intercorre fra la madre ed il bambino: intrecci  ed unioni che a livello fisico, psichico ed immaginario, si traducono in quella simbiosi che appare  fisiologica durante la gravidanza e nel corso dei primi mesi di vita, ma che gradualmente deve lasciare spazio all’individuo che si differenziandosi si rende autonomo. Ciò inizia  dal momento della nascita in poi , quando il piccolo respira e  svolge funzioni autonome a livello fisico e percettivo.

Ripensando al cammino evolutivo che attende dalla nascita in poi ogni essere umano, notiamo che ogni passo rappresenta  un movimento verso la differenziazione ed il riconoscimento di sé; ciò ( e per fortuna)  avviene anche quando si è più avanti negli anni, quando si scoprono parti di sé prima ignote, quando si vivono nuove esperienze e si costruiscono nuovi obiettivi ( anche se a differenza dell’età giovanile sono limitati nel tempo ).

Per una mamma questa rappresenta una delle difficoltà maggiori da affrontare nell’accompagnamento alla vita del proprio figlio /a .

A tal proposito qualche riferimento al testo di una  canzone “ A modo tuo”  scritta da Ligabue e diffusa dalla la voce di Elisa che esprime in maniera esemplare la difficoltà, il senso di frustrazione e di abbandono che accompagna la crescita di un figlio:

…sarà difficile dire tanti auguri a te a ogni compleanno vai un po' più via da me..

sarà  difficile mentre piano ti allontanerai a cercar da sola quella che sarai…

sarà difficile  lasciarti al mondo e tenere un pezzetto per me
e nel bel mezzo del tuo girotondo non poterti proteggere…



Le mamme alla ribalta della cronaca come protagoniste dell’interruzione della vita del piccolo essere da loro stesse generato, le mamme che sono in carcere per il gesto compiuto, le mamme  ospiti di strutture per il recupero, le mamme che ricordano e quelle che hanno dimenticato  l’accaduto distogliendo la memoria dall’atrocità compiuta…alla fine altro non sono che mamme  che non vivranno mai la crescita e l’allontanamento dei propri figli, in un certo senso,  paradossale e patologico PER  SEMPRE …



Concludendo, un brano tratto  da "il Profeta" di Kahlil Gibran “Sui  figli ”:

E una donna che reggeva un bambino al seno disse: / Parlaci dei figli / Ed egli disse:/I vostri figli non sono i vostri figli. /Sono i figli e le figlie dell’ardore che la Vita ha per sé stessa./ Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,/ e non vi appartengono benché viviate insieme./ Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i propri pensieri./ Potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime, /poiché abitano case future, che neppure in sogno potreste visitare./ Potete sforzarvi di essere simili a loro,/ ma non cercate di rendere essi simili a voi, / poiché la vita procede e non si attarda su ieri./ Voi siete gli archi da cui i vostri figli come frecce vive, /sono scoccati lontano.

L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito/ e con la forza vi tende,/
affinché le sue frecce vadano rapide e lontane./ Fate che sia gioioso e lieto questo vostro essere piegati dalla mano dell’Arciere, / poiché, come ama il volo della freccia, / così Egli ama anche l’arco che è saldo.



Questo l’approccio vero, sano  e rivolto alla vita del figlio/a che ciascun genitore dovrebbe assumere nel suo difficile ma  unico ed insostituibile ruolo!



 Brindisi, 08/01/2016                                     Iacopina Maiolo