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martedì 17 ottobre 2017

Identità negate

 
 
 
Quali  e quanti  sono i desideri o i sogni non realizzati? Entrano a far parte dell’identità di ciascuno di noi gli aspetti che riguardano le realizzazioni intese come espressione di quell’area che ci rende unici e speciali, poiché è  tipicamente personale e nasce dal nostro bisogno di individuazione.
L’individuazione   fu definita da Jung (18751961, psichiatra e co fondatore della psicoanalisi unitamente a Freud ) come  processo di differenziazione (  cioè che ci differenzia dagli altri individui ) che ha come conseguimento  lo sviluppo della personalità individuale. Rappresenta dunque  lo sviluppo di quelle caratteristiche specifiche dell’individuo, sulla base della sua predisposizione naturale ( attitudini e preferenzialità). Sempre per Jung l’’individuazione rappresenta un processo di elevazione spirituale , porta infatti ad un “ampliamento della sfera della coscienza”, ma l’aspetto fondamentale, detto con terminologia corrente è rappresentato dal fatto che l’individuazione ha come meta l’attribuzione di uno specifico significato alla propria vita
( il senso ed il motivo del nostro essere al mondo ).
La ricerca  e l’espressione di quella parte di sé che caratterizza l’unicità della nostra esistenza, può essere rappresentata come un viaggio che ha inizio con la nascita e prosegue attraversando i sentieri  proposti dalla vita ( intesa qui come casualità ), dall’ambiente e da quanto ci circonda ( che può  funzionare da stimolo o da deterrente), dalle azioni e dalle scelte che operiamo in prima persona e di cui siamo pienamente responsabili.
Appare dunque evidente che, mentre per alcuni individui il cammino di individuazione avviene in maniera se non del tutto aproblematica
 poiché il percorso dell’esistenza è in ogni caso oneroso per tutti ) ma  con modalità improntate a una relativa fluidità e possibilità di conseguimento degli obiettivi di espressione del sé, una gran parte di persone nel percorso di vita purtroppo non sarà messa nelle condizioni di lasciare quell’impronta di unicità  che  spettava per caratteristiche, predisposizioni, fattori intrinseci alla personalità.
 
Secondo la religione cristiana e cattolica,  tutti siamo uguali nel mondo, dal bambino che cresce nelle favelas ai figli dei reali del Regno Unito, lo siamo perché  creati dallo stesso Dio che ha per tutti il medesimo criterio di libertà e salvezza.
Tuttavia la realtà appare significativamente diversa: le identità negate, rappresentate dalla negazione di un’ importante parte di sé per motivi non intrinseci all’individuo ma determinati dal contesto di riferimento, da fattori esterni disturbanti , rappresentano una moltitudine, una umanità che fra lacrime e sangue purtroppo mai troverà una via di partecipazione, liberazione, espressione  e riconoscimento.
Pensiamo a quanto accade in Italia, fra lauree squalificate, carriere predeterminate, giovani   talentuosi e meritevoli costretti a vivere all’ombra di  coetanei stelle di luce riflessa per eredità familiare e di casta; pensiamo ai bimbi che non vedranno mai la nascita di quel sé che conduce alla espressione e realizzazione ( dall’artigiano all’ingegnere nucleare..)  per mancanza di opportunità ambientali dei contesti sociali e politici di riferimento.
Anni fa, nell’illusione di una civiltà in progress, si lavorava in ambito sociale ed educativo con generosità di intenti, amore ed entusiasmo, certi che ogni seme, se pur piccolo, avrebbe generato un’ espressione  di vita , oggi compare il rischio di trasmettere il vuoto assoluto che è fatto di niente, assenza di anime  che ogni giorno vivono consumandosi in un’inerzia fatale .
Dobbiamo dunque abbandonarci a questa sorta di autodistruzione? Non di certo, poiché non compare come libera scelta ma come imposizione di una società che pone ancora una volta, in una sorta di involuzione , i profitti  per pochi, la realizzazione per gli eletti, l’espressione della gioia di vivere collegata all’integrazione di sé che passa attraverso l’individuazione ed il riconoscimento, un paradiso da condividere fra privilegiati.
Dunque, malgrado le identità negate, i torti subiti e gli ostacoli al cammino, da funamboli esperti oggi  molti devono proseguire in equilibrio fra il bisogno delle proprie realizzazioni  ed i nuovi e necessari adattamenti, da cui nasceranno nuove identità e nuove individuazioni.
Per quanto attiene al nostro ruolo di trasferimento dei valori dell’anima e dei saperi umani, non abbandoniamo il compito se pur arduo, e non dimentichiamo che il fuoco sotto la brace è pur sempre vivo anche se qualcuno ha provato a domarlo.

 
Brindisi,17/10/2017                                              Iacopina Maiolo

 

 

 

 

giovedì 4 giugno 2015

La buona educazione



Soffermandoci sull’etimologia del verbo educare  risalendo all’illustre Pietro Ottorino Pianigiani ( magistrato, politico e cultore di linguistica, autore, nel 1907, del “Vocabolario etimologico della lingua italiana ), rileviamo che deriva dal latino ed è composta dalla particella e ( da, di, fuori) e dal verbo ducere ( condurre,trarre ):

aiutare con opportuna disciplina a mettere in atto, svolgere, le buone inclinazioni dell’animo e le potenze della mente, e a combattere le inclinazioni non buone; lo è condur fuori dai difetti originali della rozza natura, instillando abiti di moralità e di buona creanza; altrimenti allevare, istruire…

A questo punto è necessaria una riflessione su chi è ( o sarebbe giusto che fosse) l’educatore e l’educando.

Se consideriamo il genitore e la famiglia la fonte originaria dell’educazione e l’oggetto il figlio/a , ne deriva che il compito primigenio è immane , di gran lunga superiore alle energie e risorse( fisiche, psiche e materiali) dell’educatore, perciò il processo educativo appare destinato a deficit e mancanze di vario tipo ed intensità, in ogni caso  l’obiettivo , ove venga raggiunto, è parziale e difficile da conseguire.
Ecco che nello specifico dell’educando bimbo o giovane intervengono attori vari dividendo i compiti sulla base delle competenze e dei ruoli di ciascuno. Dalla scuola ( definita non a caso agenzia educativa per eccellenza ) ai gruppi e contesti  ricreativi  ed espressivi (sport, hobby) o di approfondimento culturale ( musica, lingue straniere, informatica) e morale-religioso ( oratorio, catechismo ), la lista  si allunga alla luce delle multiattività  offerte a vario titolo da associazioni, enti ed aggregazioni sociali.

Fin qui niente di strano, ma se intendessimo  approfondire i progetti educativi di ciascun ambito, alla luce dell’ ovvia considerazione che l’obiettivo primario di ciascuna attività dovrebbe essere l’educere  come da etimologia, potremmo non trovare risposta se non addirittura  toccare la vacuità delle varie proposte dal punto di vista educativo.

Qualora  chiedessimo all’operatore, animatore, allenatore…( di una ludoteca, struttura, ricreativa, centro vacanze etc..) quale l’obiettivo ed il programma educativo dell’attività proposta, correremmo il rischio di suscitare risposte varie che vanno dall’ilarità allo strabuzzare gli occhi, all’essere trattati come i rompiballe di turno; e se ricordassimo loro che sono in primis educatori di educandi, potremmo doverci  preparare  ad esplosioni verbali  o altre animosità nei nostri confronti, tacciati quantomeno di inopportuni se non proprio di importuni.

Fin qui ci potrebbe anche stare ( secondo il gergo in uso) perché potrebbe dipendere  dall’impreparazione del singolo ( anche se non dovrebbe essere accettabile), ma che dire quando è l’istituzione scolastica che non fornisce nei suoi POF tracce e percorsi  educativi chiari e visibili  o meglio tangibili e perché no, anche costruiti, almeno sommariamente, secondo programmazioni calate nel contesto individuale e sociale dell’educando?

Le esternazioni renziane diffuse dalla rete volte alla difesa del decreto la Buona scuola non ci hanno condotto a rilevare le tracce di quei percorsi ed obiettivi educativi dai quali non si può prescindere se si intendono l’insegnamento e l’apprendimento  come medium  per l’acquisizione di strumenti che , riprendendo la definizione del Pianigiani :

emancipino dalla rozza natura verso la moralità e la buona creanza;

stimolino le potenze della mente;

contrastino le cattive inclinazioni dell’animo a favore delle buone.

In questo senso l’educazione è da intendere come processo non limitato all’individuo che affronta un percorso di crescita in funzione dell’età, ma in senso più ampio l’educando è colui che vuole o deve poter affrontare una fase evolutiva  che comporta un cambiamento  verso aree di progresso e civiltà ( l’educativa della comunità è un’area fondamentale nei progetti di prevenzione).

Dunque una domanda sorge spontanea: non sarebbe il caso di sostituire per i nostri politici le scuole di formazione alla politica ( ove ancora esistano ) con percorsi ( almeno)  di alfabetizzazione educativa che, sempre  nell’ottica pianigiana li conducano a superare le rozzezze, ad acquisire moralità e buona creanza, a sviluppare le potenze della mente e le buone inclinazioni dell’animo?


Brindisi,04/06/2015                    Iacopina  Maiolo

mercoledì 25 maggio 2011

Genitori non si nasce


 L’utilità  di esperienze quali la Scuola Genitori e la Banca del Tempo
Genitori non si nasce
come provare a descrivere un concetto tanto usato ma così tanto poco compreso fino in fondo?
L’aspetto nodale è che si diventa genitori dopo una dura gavetta , o meglio solo grazie e contemporaneamente  all’esperienza.

Viviamo in famiglie con” nidi pieni” ad oltranza ,  ben lontane dalla sindrome del nido vuoto ( vedi in Winnicot D.W. “La famiglia e lo sviluppo dell’individuo”) o con cordoni ombelicali lunghissimi che malgrado le distanze fisiche esistenti per motivi di studio – lavoro continuano a tener in piedi legami “ fuori tempo” fra figli quarantenni e genitori settantenni che continuano a detenere la delega educativa e della responsabilità dei propri “ rampolli” ( che magari nel frattempo hanno messo su famiglia).

In ambito psicologico  il Genitore rappresenta lo stadio ultimo di evoluzione psichica e contiene in sé aspetti personali ed aspetti mutuati ( o meglio ereditati) dal genitore reale.

Il riferimento all’ultimo episodio di cronaca, oltremodo doloroso, della piccola Elena, compare fra le righe e necessita  di analisi libere sia  dal giudizio, che da superficiali  e compassionevoli forme di comprensione per l’accaduto.
La gravità è manifesta  nella conclusione indesiderata: la morte della piccola.

Dovremmo chiederci  quanti siano gli episodi sfociati in tragedia a causa di  errori di accudimento che accadono in maniera totalmente indesiderata,ovvero  non  intenzionale, per distrazione o superficialità.

Sappiamo bene  che esser genitori significa spesso un eccesso di stress che, aggiunto a quello lavorativo e sociale, può determinare una risposta  che è molto simile all’annientamento della volontà e del comportamento responsabile e consapevole.
Ma assumere le proprie responsabilità fino in fondo, da adulti,  significa non delegare mai ad altri ( sia anche la società ) ciò di cui si è responsabili in prima persona.
Significa anche comprendere il proprio limite, il disagio in agguato e sapervi porre rimedio.
Non possiamo  in alcun modo attribuire o delegare ad altri  il “dolce peso” della genitorialità, quando ne assumiamo il ruolo.
Sarebbe come dire che mentre sono responsabile di un errore anche se involontario nell’espletamento del mio lavoro , quando svolgo il ruolo di genitore  posso liberarmi dal peso di comportamenti inadeguati perché errare humanum est.

Che fare dunque nel caso che queste competenze genitoriali e la loro acquisizione sul campo determino esiti tragici?
La comunità ( di relazione, sociale, politica, )  ha in ogni caso l’obbligo di porsi  il quesito e di trovare possibili interventi.
E’ pur vero che i genitori alle prime armi non hanno riferimento alcuno se non le rispettive famiglie di origine, ove esistenti e soprattutto capaci; la Scuola Genitori è un’esperienza che è nata nella seconda metà degli anni ’90 ad opera dei consultori familiari, associazioni di volontariato, terzo settore, ed  in alcune realtà con  politici e manager della sanità “ volenterosi”, si è radicata nel territorio e rappresenta un costante riferimento, che prosegue dopo il parto ed accompagna i genitori con iniziative concrete, di aiuto, fra cui la banca del tempo.   
La banca del tempo è uno scambio di  favori  fra soggetti in relazione fra loro , che avviene in maniera strutturata e coordinata
Da Wikipedia  La Banca del Tempo (abbreviato, BdT) è un tipo di associazione che si basa sullo scambio gratuito di "tempo".
Ciascun socio mette a disposizione qualche ora per dare ad un altro socio una certa competenza. Le "ore" date vengono "calcolate" e "accreditate" o "addebitate" nella Banca. Può succedere così, che non sia la stessa persona a "rimborsarle", ma un'altra. Tutti gli scambi sono gratuiti; solo è previsto un rimborso spese (per esempio, per i mezzi di trasporto o eventuali materiali utilizzati nel lavoro svolto) e una quota associativa, per lo più annuale, variabile da Banca a Banca. Ogni ora viene valutata per un'ora, indipendentemente dal valore monetario del tipo di prestazione svolta. Le attività delle BdT sono molto diverse: lezioni di cucina, manutenzioni casalinghe, accompagnamenti ( a scuola ), ospitalità, e babysitteraggio, cura di piante e animali, scambio, prestito o baratto di attrezzature varie, ripetizioni scolastiche etc. Anche il tempo dedicato all'organizzazione, all'accoglienza, e alle riunioni o feste viene in genere valutato come tempo scambiato e quindi accreditato o addebitato nel conto personale del socio.

INTERESSANTE vero? Esiste anche un sito che rappresenta l’Osservatorio nazionale delle Banche del Tempo ( http://www.tempomat.it/ )

Che ne pensate, può essere sufficiente non solo per  un’utile opera di prevenzione ma anche per fornire il giusto sostegno mirato all’acquisizione di quello che il già citato  Winnicot  definisce spazio mentale interno  ovvero  lo “spazio mentale” che i genitori costruiscono per il figlio, grazie al quale è possibile  sviluppare comportamenti adeguati di cura ed attenzione nei riguardi del bambino?
                                                                         
Io penso di si…
Se condividete lavoriamoci su…..

Brindisi, 25 maggio 2011                                       Iacopina Mariolo