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giovedì 18 agosto 2016

Chiedimi se sono felice



Parafrasando il titolo di un noto film del 2000 del trio Aldo - Giovanni e Giacomo e riferendo l’ingiunzione ( il taglio diretto dell’espressione la rende tale , infatti non si afferma - potresti chiedermi se sono felice – ma si pone in maniera secca una condizione che più che un invito pare un comando ) alla  richiesta di comprensione che un essere umano altro da noi potrebbe richiedere, seguono alcune considerazioni sull’empatia  che si spera possano divenire spunti di riflessione in un momento storico in cui i comportamenti umani appaiono dettati da spinte emozionali volte alla distruzione più che  all’accettazione ed alla comprensione.

Il punto focale della questione è che forse ( lasciamo il dubbio ) abbiamo perso il senso umano dell’esistente e dell’esistere, trasformati in soggetti che consumano e disperdono energie psichiche in investimenti illusori  perché effimeri ( in relazione alla durata ed al significato essenziale ).

In tal maniera l’altro da noi perde la  caratteristica di soggetto , di  co-attore di uno spazio condiviso ( la relazione) e diviene per noi egli stesso oggetto : dall’identità di persona al genere di cosa ed in quanto tale da usare come oggetto di consumo per i propri bisogni ed interessi.

In questo contesto di sfruttamento e di uso della relazione umana e dei sentimenti ad essa collegati  oltre a non trovare spazio l’empatia ( dal greco ev pathos = sentire dentro , condividere uno stato d’animo od un sentimento che  prova un‘altra persona ), è bene chiedersi quale possibilità di ascolto ed accoglienza esista  per chi lancia una richiesta di aiuto…

Umanamente corretto , oltre che opportuno per il superamento del degrado e della barbarie che rendono le relazioni fra le persone improntate a comportamenti distruttivi, sarebbe , tornando alla frase  citata , chiedersi se l’altro sia felice  aprendo in questo modo  uno spazio di dialogo volto all’accoglienza di un disagio ove esistente o all’espressione di un bisogno, di un desiderio mai comunicato che di sicuro andrebbe ad arricchire la relazione .


Un altro aspetto fondamentale riguarda la fiducia che riponiamo nell’altro, e la forza (resilienza) che possediamo nell’affrontare la frustrazione  che può derivare da un rifiuto.

Chiedimi se sono felice” è quella richiesta che posso fare  in modo diretto , senza rimanere in attesa che l’altro comprenda il mio stato  emotivo e psichico ed agisca di conseguenza.



Vale la pena di provare e di non desistere , così come dice la canzone di Baglioni :

        

strada facendo vedrai
che non sei più da solo
strada facendo troverai
un gancio in mezzo al cielo….



Brindisi, 18/06/2016                                      Iacopina Maiolo

martedì 13 agosto 2013

Morire a 14 anni




Morire a 14 anni per un problema di identità sessuale. . . ed i media che fanno? Optano per un uso strumentale della notizia,  al confine fra il titolo ad effetto ed il suo contenuto politico. Di conseguenza non c’è stato giornale o tg che non abbia riferito l’episodio annoverandolo fra i disagi dei gay che non vedono riconosciuti i propri diritti o lo stand- by delle leggi sull’omofobia.



Ci siamo chiesti chi fosse realmente quel ragazzo appena quattordicenne?

Nel percorso adolescenziale la conquista dell’identità è a volte come la scalata dell’Everest…la si conquista  con la fatica ed il sudore che richiedono le grandi imprese: passo dopo passo superando ostacoli, brusche interruzioni e deviazioni dal sentiero.

Costruiva la sua identità , era alla scoperta del suo orientamento sessuale  in una fase in cui sfido chiunque a non aver avuto almeno un dubbio all’epoca, un pensiero che si insinuava talvolta fra le pieghe della coscienza creando non pochi tormenti: - non sarò omosessuale? Lesbica o gay? -



Tutto è quell’età tranne la fase delle certezze.

Bisognava che qualcuno glielo dicesse, che lo tranquillizzasse, che gli rimboccasse le coperte o gli offrisse un gelato suggerendogli che spesso l’adolescenza genera confusione e che l’ambiguità deve essere tollerata  in attesa di conferme che verranno come  consapevolezze in un momento in cui si riesce a tollerare un’eventuale differenza senza esserne travolti  giungendo all’autodistruzione.



Poveri ragazzi, generazione abbandonata  a genitori multimedia  che rispondono con voci robotiche dal multi caos di una chat o di un social ( si fa così per dire) network, identità iconiche , stereotipi di un niente che affonda le radici nel disagio globale di un' umanità in delirio .



Lui si rivolge al web, giovane eroe all’inizio del suo viaggio, e questi gli risponde da mostro ciclopico  amorale ed acefalo, rendendogli conto della sua non esistenza, disconfermando quanto realmente egli è, ed avviandolo verso il percorso estremo della rinuncia a quell’identità che aveva iniziato a costruire che culmina nella distruzione e nell’annientamento di sé.



Hanno i nostri ragazzi e ragazze un luogo ove potersi rivolgere solo per parlare od esprimere i propri dubbi o paure?

 Forse no, perché deve essere altro dalla parrocchia (oratorio o affini) per le ovvie compromissioni legate all’ideologia religiosa, altro dalla scuola per non confondere  ruoli e compiti degli insegnanti che non potranno mai diffondere una genitorialità a largo spettro ( a tutta la classe), altro dai servizi sanitari (consultori, centri di salute mentale, luoghi di cura della salute psichica quali i centri di psicoterapia) e dai servizi sociali, spesso paladini difensori di una normalità  che giudica e punisce.



Bisogna procedere alla disintossicazione dal  cyber  quasi  fosse  sostanza dopante, creando  per i nostri adolescenti luoghi  ove possano scoprire la normalità  del comunicare, che è fatto di ascolto  e partecipazione, esser emittenti e riceventi  di un dialogo ove i feedback siano rappresentati dal sorriso, la pacca sulla spalla, un abbraccio o perché no uno” spintone” per esprimere il conflitto, al posto di quei deliranti emoticon stereotipi  anaffettivi dell’atarassia   e dell’indifferenza.



Non so se la partita è persa, devo essere realista, ma ho sempre creduto che ad una fine drammatica segua un buon principio  per la legge della compensazione e dell’armonia che in qualche maniera guida i sistemi viventi 
( umani e naturali) e se questa è già la fine , nel ciclo vita morte non può esserci che una nuova vita, alba di un’umanità migliore.



Brindisi, 13/08/2013                                                           
                                                            Iacopina  Mariolo