Morire
a 14 anni per un problema di identità sessuale. . . ed i media che fanno?
Optano per un uso strumentale della notizia, al confine fra il titolo ad effetto ed il suo
contenuto politico. Di conseguenza non c’è stato giornale o tg che non abbia riferito
l’episodio annoverandolo fra i disagi dei gay che non vedono riconosciuti i
propri diritti o lo stand- by delle leggi sull’omofobia.
Ci
siamo chiesti chi fosse realmente quel ragazzo appena quattordicenne?
Nel
percorso adolescenziale la conquista dell’identità è a volte come la scalata
dell’Everest…la si conquista con la
fatica ed il sudore che richiedono le grandi imprese: passo dopo passo
superando ostacoli, brusche interruzioni e deviazioni dal sentiero.
Costruiva
la sua identità , era alla scoperta del suo orientamento sessuale in una fase in cui sfido chiunque a non aver
avuto almeno un dubbio all’epoca, un pensiero che si insinuava talvolta fra le
pieghe della coscienza creando non pochi tormenti: - non sarò omosessuale?
Lesbica o gay? -
Tutto
è quell’età tranne la fase delle certezze.
Bisognava
che qualcuno glielo dicesse, che lo tranquillizzasse, che gli rimboccasse le
coperte o gli offrisse un gelato suggerendogli che spesso l’adolescenza genera
confusione e che l’ambiguità deve essere tollerata in attesa di conferme che verranno come consapevolezze in un momento in cui si riesce
a tollerare un’eventuale differenza senza esserne travolti giungendo all’autodistruzione.
Poveri
ragazzi, generazione abbandonata a
genitori multimedia che rispondono con
voci robotiche dal multi caos di una chat o di un social ( si fa così per dire)
network, identità iconiche , stereotipi di un niente che affonda le radici nel
disagio globale di un' umanità in delirio .
Lui
si rivolge al web, giovane eroe
all’inizio del suo viaggio, e questi gli risponde da mostro ciclopico amorale ed acefalo, rendendogli conto della
sua non esistenza, disconfermando
quanto realmente egli è, ed avviandolo verso il percorso estremo della rinuncia
a quell’identità che aveva iniziato a costruire che culmina nella distruzione e
nell’annientamento di sé.
Hanno
i nostri ragazzi e ragazze un luogo ove potersi rivolgere solo per parlare od
esprimere i propri dubbi o paure?
Forse no, perché deve essere altro dalla parrocchia
(oratorio o affini) per le ovvie compromissioni legate all’ideologia religiosa,
altro dalla scuola per non confondere
ruoli e compiti degli insegnanti che non potranno mai diffondere una
genitorialità a largo spettro ( a tutta la classe), altro dai servizi sanitari
(consultori, centri di salute mentale, luoghi di cura della salute psichica
quali i centri di psicoterapia) e dai servizi sociali, spesso paladini
difensori di una normalità che giudica e
punisce.
Bisogna
procedere alla disintossicazione dal
cyber quasi fosse sostanza dopante, creando per i nostri adolescenti luoghi ove possano scoprire la normalità del comunicare, che è fatto di ascolto e partecipazione, esser emittenti e riceventi di un dialogo ove i feedback siano rappresentati
dal sorriso, la pacca sulla spalla, un abbraccio o perché no uno” spintone” per
esprimere il conflitto, al posto di quei deliranti emoticon stereotipi anaffettivi dell’atarassia e
dell’indifferenza.
Non
so se la partita è persa, devo essere
realista, ma ho sempre creduto che ad una fine drammatica segua un buon
principio per la legge della
compensazione e dell’armonia che in qualche maniera guida i sistemi viventi
( umani e naturali) e se questa è già la fine , nel ciclo vita morte non può esserci che una nuova vita, alba di un’umanità migliore.
( umani e naturali) e se questa è già la fine , nel ciclo vita morte non può esserci che una nuova vita, alba di un’umanità migliore.
Brindisi,
13/08/2013
Iacopina Mariolo
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