Parlare di famiglie, oggi, vuol dire confrontarsi con qualcosa di sfumato, dai contorni labili , quasi un disegno tracciato da una mano incerta come quella di un bimbo o tremolante come quella di un anziano.
Si ha inoltre la sensazione che a pronunciarne il nome (famiglia) si abbia quasi il timore di aver usato un termine inappropriato o passato di moda (demodè), contrariamente all’uso altisonante che veniva fatto negli anni passati ( fino agli ’80) - FAMIGLIA ! –
In un contesto socioeconomico dove il welfare è stato abbondantemente “messo da parte” per ciò che concerne l’attenzione alle famiglie ed ai suoi derivati quali madre, donna, padre, bambino/a, anziano o elementi rappresentativi di situazioni di disagio familiare quali il malato ed il disabile, e ad ulteriori fattori di disagio che derivano dalle separazioni e divorzi o dalla eventuale ricostituzione di nuove famiglie ( famiglie allargate), appare quasi ridicolo che qualcuno possa avanzare delle pretese in tal senso.
Mi spiego meglio, mai come oggi la famiglia ha posto un bisogno di welfare inteso come assistenza, mai come oggi ha ricevuto dinieghi e risposte di sottrazione, oltre che di mancata od erronea risposta.
L’aver tagliato i fondi agli enti pubblici e locali per quanto attiene ai servizi sociosanitari ha sostituito la politica dell’interesse e del riconoscimento con quella dell’abbandono al proprio destino.
Ma non è solo questo, poiché parliamo di famiglia in questo contesto di esiguità delle risorse, anche i consolidati diritti delle lavoratrici madri vengono meno, sono infatti sempre più numerosi i rappresentanti e delegati sindacali che hanno perso la capacità della conciliazione, della mediazione fra le esigenze degli individui lavoratori e quelle dell’azienda o ente che sia ( che nella situazione limite di disconferma dei diritti che stiamo vivendo, è chiaro che miri in primo luogo alla tutela dei propri interessi ed al mantenimento dei privilegi, ove esistenti ).
In tutto ciò appare evidente la mancanza di un sano corporativismo sindacale che si occupi anche delle singole realtà nella tutela dei diritti, che faccia dell’attenzione al singolo ed al rispetto che gli è dovuto in quanto lavoratore e nell’offerta della soluzione delle problematiche, un proprio modus operandi.
Ci sono, e non ditemi di no, “padroni del vapore” ed esponenti del sindacato che concordano sul fatto che - meglio una gallina oggi che un uovo domani- o meglio -chi troppo vuole nulla stringe - per cui bisogna accontentarsi di un lavoro, se pur precario o partime o sottopagato, piuttosto che niente!
Ed in questo contesto, quale spazio può trovare ad esempio l’esigenza materna ( o paterna) di orari flessibili in relazione alla gestione delle esigenze dei figli… e quale politica degli asili nido potrà mai suscitare l'interesse ( i nidi aziendali, esperienza possibile fino a qualche anno fa, è stata poco e male sponsorizzata dalle aziende e dagli enti) di governanti, politici od amministratori...
Se poi tocchiamo il tasto scuola è ancora peggio, si scende talmente in basso che ci si sente disperati, ed giovani, i disabili, gli anziani, i malati che di fatto sono anch’essi elementi rappresentativi di quella che chiamiamo famiglia ?
Allora, per non procedere ad un elenco del degrado, che chiaramente è anche un elenco del dolore, proviamo a chiederci che fare?
Provo ad elencare una serie di proposte/ intervento che potrebbero con il tempo ( e la costanza) alleviare inizialmente e contribuire a risolvere i problemi ove possibile.
Al primo posto metterei l’eliminazione di servizi poco produttivi, nati malamente da un mancato lavoro di screening dei bisogni della popolazione, solo per far incetta ( consentitemi il termine ) di fondi ed attivare procedure di riconoscimenti personalistici rivolti ad amici, conoscenti o altri come spesso accade nelle amministrazioni pubbliche.
Ogni struttura ( o centro o intervento che sia) deve prima trovare un riscontro oggettivo nei bisogni effettivi della popolazione a cui è destinata e per far ciò occorre uno studio a monte, di raccolta di dati anche sul campo mediante interviste, questionari con alla base un campionamento serio ( scelta della popolazione).
Questo procedimento, di prassi in molte realtà ( non serve andare a parare necessariamente al nord, anche qui, in Puglia abbiamo comuni e province virtuose che mettono in atto queste buone prassi in maniera professionalmente e tecnicamente corretta ed elevata ) è la conditio sine qua non di ogni intervento.
Al secondo posto ( chiaramente ogni punto è collegato) porrei l’onestà politica che antepone alla demagogica realizzazione che tiene contenti coloro che hanno accesso ai tanto beneamati fondi ( i vertici delle amministrazioni pubbliche) e le loro corporazioni, oltre che la parte ingenua e più sprovveduta della popolazione, L’AZIONE REALMENTE POSITIVA ED EFFICACE IN FAVORE DELLA COMUNITÀ.
Tale azione forse non rende nell’immediato ( anche se non sono d’accordo poiché penso che alla lunga in una visione sistemica le azioni realmente positive producono arricchimento per tutti) ma nobilita le coscienze dei politici, e dà un senso di giustizia alle loro azioni.
E non è poco, chi non desidera la serenità d’animo e la pace interiore come frutto delle proprie azioni?
Se ci riferiamo ad azioni politiche, solo quelle dettate da una considerazione reale e genuina dei bisogni della comunità a cui si rivolgono raggiungono lo scopo, il resto, anche se non sono atti illeciti, rimangono come pesi di realizzazioni vacue e fumose….
Al terzo posto la proposta di una raccolta di risorse attiva con l’istituzione di un fondo od un’apposita banca etica in cui i politici in primis, gli amministratoti tutti i cittadini che contano, possano versare e destinare fondi in favore delle iniziative per cui è giusta una messa in opera, dopo gli screening a cui facevo riferimento.
Privilegiare gruppi od associazioni ( i contributi che spesso vengono destinati a privati) non incide sui problemi, ma va a risolvere una situazione privatistica di quell’associazione od ente.
Al quarto posto quanto segue.
I programmi del welfare, oltre ad essere tecnicamente valutati con gli adeguati screening, devono trovare la giusta collocazione in un progetto globale, sistemico, rivolto alla comunità. Per esempio che senso ha proporre interventi in favore della lavoratrice madre o della coppia o sul nucleo familiare se non c’è un potenziamento delle strutture per l’nfanzia sulla base dei bisogni della neo famiglia? Questo è solo uno degli innumerevoli esempi…la lista può essere lunghissima.
Mi fermo qui certa di non avere attualmente niente su cui costruire possibili interventi se non la base, quella del bisogno della comunità.
Auspico ( e questo appare inevitabilmente come il quinto punto) che finalmente gli operatori del welfare e della salute globale ( psichica, sociale, biologica ed economica ) si riapproprino dei loro ambiti di intervento costruendo insieme alla gente i luoghi ed i tempi dei giusti interventi, delle azioni opportune, e che possano dire, ove gli amministratori od i gestori delle risorse economiche del welfare propongano servizi ed attività : < grazie ma non serve…elaboriamo insieme la giusta proposta e non < grazie per questa opportunità di guadagno che mi viene offerta riservandomi quel posto di lavoro o la gestione di quella struttura….
A buon intenditor poche parole !
Brindisi 20 aprile 2011
Iacopina Mariolo
Iacopina Mariolo
(psicologa e psicoterapeuta)
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