Italia21

giovedì 3 novembre 2011

Il fardello dei rifiuti


IL  FARDELLO  DEI RIFIUTI
       (un approccio psicoeducazionale)

E’ un problema ingombrante , quello  dei rifiuti, non c’è dubbio, ma non solo per cause diciamo così tecniche ( dalla raccolta allo smaltimento e trattamento ), ma anche per motivazioni di ordine psicologico.

Esempi ce ne sono a non finire

-      definiamo un rifiuto della società un individuo che non conta, che è dunque al margine e che oltre a non essere considerato al pari degli altri individui del contesto  di appartenenza, ha in sé le caratteristiche di scarto, e dunque di oggetto da eliminare;

-      la parola rifiuto riferita al gesto  o al comportamento fra due individui, assume il significato di allontanamento o di evitamento spesso con sentimenti di crudeltà e di cattiveria nei confronti dell’ oggetto verso cui si rivolgono tali comportamenti;

-      possiamo  ancora dire che se diniego il capo facendo di NO, con tale atteggiamento posso ad esempio rifiutare il cibo, le cure mediche, esprimere un dissenso legato al contesto di un invito o di un comando……

E su base etimologica cosa scopriamo? La parola rifiuto trova la radice in futare che in latino ha il significato di battere, cioè abbattere, eliminare, reprimere, negare.

Se tanto vasta è l’area del rifiuto appena esposto, altrettanto lo è la motivazione psicologica  alla base di tali rifiuti o dei comportamenti che ne derivano
-      l’individuo ai margini può trovare accoglienza in un gruppo sociale che riconosca il lui la possibilità di esistere come rappresentante comunque di una umanità di cui è parte al pari degli altri individui,

-      il rifiuto che porta alla necessità sadica di annientare l’individuo o un gruppo  ponendolo ai margini , si esprime mediante i comportamenti  guidati, in una sorta di scala di gradienti, dal pregiudizio, all’odio che definiamo razziale…

-      più articolato il rifiuto legato alla espressione del NO, perché può addirittura poggiarsi  su basi contrarie all’esistenza, l’anoressia come rifiuto del cibo porta, lo sappiamo bene, all’inevitabile fine della vita. Se il No è rivolto direttamente alla vita  possiamo assistere alla sua eliminazione mediante il gesto del suicidio. 

Posso ancora dire No alla dipendenza  ed in questo caso rifiuto l’alcool o le droghe, o il gioco, o i media che annullano la mia persona, sostenendo in questo caso una positività per me stesso.


Si comprende dunque come ciò che accomuna tale complessità di comportamenti sia un unico elemento : la necessità, reale o immaginaria, necessaria  o superflua, eticamente corretta o scorretta di procedere all’ELIMINAZIONE  DI  QUALCOSA.

Ma veniamo al punto perché elimino qualcosa ( ovvero perché la considero un rifiuto? )
·        Il 1° punto è perché non mi serve più;
·        il secondo perché non mi aggrada usarla;
·        il terzo perché avverto una sorta di ribrezzo/paura = ripulsa , non meglio identificata.
Nel secondo e terzo caso la componente inconsapevole, inconscia, o non percepibile immediatamente ( scegliete voi l’espressione più idonea al vostro status) la fa da padrona. E questo vuol dir tutto o niente…

Se però puntiamo l’attenzione al maximo esempio di rifiuto, il primario o primogenito nella serie incomparabile dei rifiuti che un individuo scoprirà nel corso della vita,  cioè le feci, prodotto  di inestimabile valore per il piccolo uomo e di deprecabile esistenza per l’uomo ormai civilizzato all’uso del w.c. e del sistema fognario, sappiamo di imboccare un percorso a ritroso nei meandri del nostro inconscio che mal pareggia l’equazione rifiuto = allontanamento del e dal superfluo.
Magica produzione  che proviene dalla nostra  interiorità, prodotto inspiegabile su base empirica e solo scientificamente spiegabile, trova nella scatomanzia  un  uso divinatorio e rituale.
Componente onirica di un certo rilievo, simbolo e metafora per la psicoanalisi della ricchezza interiore e della dote creativa di potenziali realizzazioni prodotte dalla sublimazione, per la chiromanzia rappresentazione  della ricchezza e del denaro.
Il primario rifiuto appare dunque tutt’altro che prodotto da eliminare perché non  più utilizzabile.

Utilissimo tuttavia il ribrezzo  ed il disgusto culturalmente indotti su base scientifica onde evitare  il contagio da virus e batteri etc..etc.. chi sa di scienza aggiunga ciò che vuole.

E con la spazzatura? Come la mettiamo? Etimologicamente la parola deriva  dal latino  spatium, spazio, spazzare dunque è inteso come  fare spazio, estendersi, sgombrare.

E monnezza? Nobili anche  le sue origini , dal latino mundum, cioè pulito, e tutto ciò che non è mondo con il prefisso in inteso come negazione, diventa in-mondo, cioè immondo, sporco..da qui immondizia da cui il dialettale mondezza o  monnezza  ( a seconda dei dialetti).

Se in natura nulla si crea e nulla si distrugge, è  vero che l’albero nasce dal seme che è contenuto nel frutto e da tale riciclo ( ri- inteso come ripetizione ed il latino cyclum  a sua volta dal greco Kyklos  dal significato di cerchio, rotazione e quindi  riciclo come fenomeno ri-corrente che si ri-pete ciclicamente ) può nascere un nuovo albero e quindi un nuovo frutto e così via….
Se il seme rappresenta uno scarto e dunque un rifiuto, è tuttavia un rifiuto prezioso dal quale non ci  si deve liberare pena l’interruzione del ciclo vitale.


Con il riciclaggio dei rifiuti , un processo che ha perso la naturalità del ciclo biologico della creazione-distruzione -creazione, viene riportato alla saggezza ed alla eticità della natura mediante un intervento artificiale, tecnologico. Tutto ciò pena la fine del pianeta Terra  per l’invasione di rifiuti  industriali, urbani, tecnologici, sanitari……. E non è una sciocchezza perché niente di quanto menzionato trova spazio in una nicchia ecologica per arricchire spontaneamente l'ecosistema!

A monte di tale intervento  è la raccolta differenziata, e qui entrano in gioco fattori che non sono solo e sempre di natura politica, o sociale o di educazione ambientale…esistono anche le motivazioni psicologiche e le disposizioni comportamentali di cui non siamo del tutto o in parte consapevoli.

Educare alla raccolta differenziata  non può dunque prescindere dalla considerazione che mutare un habitus comportamentale in un individuo che abbia già costruito le basi psicologiche del comportamento ( quelle più profonde, , quelle del rapporto con il rifiuto-feci-disgusto-eliminazione  per allontanarne la vista …) sia un processo psicoeducativo e non esclusivamente pedagogico o didattico.


 Riflettendo  sul fatto che  un individuo di 10 anni ha già costruito le parti cardine della sua personalità passando attraverso le fasi dello sviluppo denominate  dalla psicoanalisi  orale, anale, edipica, di latenza , non possiamo non porci il problema della creazione di un contesto di accoglienza delle componenti psicologiche, nell’ambito di interventi di educazione ambientale.
E per un adulto? Aumenta la complessità  perché si aggiungono le sub strutture  sociali, culturali, economiche.

Ecco che l’educazione ambientale è senza dubbio un fatto multidisciplinare  ma l’aspetto saliente che oggi ci porta trattare di un approccio educativo al problema dei rifiuti, appare la necessità di una base psicologica  su cui costruire interventi  efficaci e mirati al contesto , che tengano conto di  variabili quali età, background, status sociale ed economico, ma anche delle  predisposizioni  e variabili individuali e del gruppo di appartenenza.

Senza tale riferimenti, ogni intervento sul tema sarà nullo, cioè INEFFICACE, pertanto abbandoniamo l’idea  ( mi riferisco alle società destinate al loro smaltimento, che dunque gestiscono l’impianto della raccolta differenziata ) che i rifiuti rappresentino in primo luogo un business!

 Brindisi,02/11/2011                    Iacopina  Mariolo




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