E’ difficile ( per certi versi impossibile ) entrare nel tema angosciante degli infanticidi rivolti ai propri figli conservando l’oggettività e la lucidità necessarie per tentare un canovaccio interpretativo o anche solo per esprimere un parere, se non si è in un talk-show fra luci , cerone , conduttori patinati e vip.
L’impatto emozionale è infatti dirompente e suscita in chi lo vive difese di vario tipo , quella più immediata l’accusa, il giudizio estremo che condanna senza mai spiegare o conoscere, la distanza totale che annienta qualsiasi forma di empatia o contatto se pur minimo.
Se è il padre a
commettere l’atto estremo nei confronti del proprio figlio, l’episodio ha un
impatto minore, sebbene anche in questo caso il giudizio sia estremo, ma viene archiviato
con più facilità e spesso le
coscienze di noi osservatori non ne
serbano memoria come nel caso materno.
Numerosi i racconti
mitologici sul tema, in particolare di origine greca. Il classico caso di
Medea, che è stato rappresentato in più versioni nella tragedia greca, seguendo
la versione di Euripide (V secolo a.c.), rappresenta la donna madre che uccide
i propri figli per vendetta e troppo amore nei confronti di Giasone, colpevole
dell’abbandono per convolare a nozze con una principessa greca.
La mitologia non trascura il figlicidio paterno, che sempre nel mito greco compare più volte, ma a differenza di quello materno, il cui denominatore comune come abbiamo visto per Medea è il troppo amore o la vendetta, è legato ai temi dell’errore , della follia , ma anche della punizione ( padri punitori soprattutto di figlie ) e del sacrificio ( figli come vittime sacrificali ).
Quest’ultimo aspetto è presente in varie culture e tradizioni mitologiche, ad esempio è il fulcro dell’episodio biblico di Abramo e Isacco , tramandato dall’esegesi ebraica,
Entrando nel racconto, come ben sappiamo, Dio, per mettere alla prova la fede di Abramo, gli ordina di sacrificare il proprio figlio Isacco. Abramo, pur profondamente addolorato obbedisce senza esitare, ma mentre sta per compiere il sacrificio, con la mano alzata ed armata di coltello, un angelo del Signore scende a bloccarlo e fa comparire un ariete da immolare come sacrificio sostitutivo.
L’uccisione qui appare
possibile, dunque consentita, giustificata dall’ingiunzione divina e trova un
padre consenziente che non ha l’intenzione di opporsi al volere di Dio.
Tuttavia, pur non comparendo una posizione divina contraria all’infanticidio
del figlio, l’intervento tramite il suo angelo è volto ad interrompere l’azione
cruenta"hai fatto
questa cosa e non hai trattenuto tuo figlio, il tuo unico, io di sicuro ti
benedirò e di sicuro moltiplicherò il tuo seme come le stelle dei cieli e come
i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare; e il tuo seme prenderà
possesso della porta dei suoi nemici. E per mezzo del tuo seme tutte le nazioni
della terra certamente si benediranno per il fatto che tu hai ascoltato la mia
voce » (Genesi
22:10-18).
Se il risultato è la salvezza di Isacco e la liberazione dal ruolo di padre uccisore per Abramo, non
compare tuttavia un’opposizione morale al delitto, come invece nel giudizio che Dio rivolge a Caino dopo l’uccisione di Abele : “Allora
il Signore disse a Caino: « Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo
so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce
del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi
da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”(
Genesi,4 ).
L’interpretazione del testo
biblico non è sicuramente di facile realizzazione, necessita di una lettura
attenta a fattori antropologici, culturali e storico - sociali , tuttavia
l’evidenza è che il fratricidio è aspramente condannato, il figlicidio no,
anzi viene suscitato per provare devozione e fedeltà al volere divino. E’ come se il figlio fosse proprietà
genitoriale da usare quale ed al posto
del capro ( l’agnello sacrificale)
in questo il volere di Dio Padre ( non trascuriamo che Dio è padre di
entrambi, Abramo ed Isacco) è determinato e non lascia possibilità di scelta.
L’elemento di raccordo fra i
miti citati ( anche negli altri miti relativi all’infanticidio per mano
genitoriale è presente univocità ) è il possesso dei figli, il sentirli
proprietà esclusiva del genitore, che ha la facoltà di decidere della sua vita
, mentre al figlio non è mai dato di opporsi o reagire.
Trasferiamo ad oggi qualche
spunto per così dire arcaico, da un’indagine del 2014 ad opera dell’
Associazione Meter Onlus, emerge una drammaticità forse sconosciuta: in Italia
una madre o un padre ogni settimana uccidono o tentano di uccidere 3-4 figli
con una media di circa 170 bambini vittime in un anno. Le vittime sono bimbi di
pochi anni o neonati. Secondo l’indagine “raptus, conflitti tra i genitori
per le separazioni, situazioni di disagio, le principali motivazioni “.
Riprendendo il tema iniziale
della madre coinvolta nel fenomeno, i dati si intrecciano con quelli relativi
alle sindromi tipicamente femminili
legate al parto ed al postpartum a breve e a lungo termine.
·
Il baby blues ( stato fortemente emotivo
caratterizzato da crisi di pianto, senso di inadeguatezza, affaticamento…)si
manifesta nell’immediatezza del parto ed ha la durata di poche settimane;
·
la depressione post partum ha il suo esordio a poche
settimane dal parto fino ad un anno di
vita del neonato ed ha un’evoluzione più lunga ;
·
altre manifestazioni fra cui disturbi dissociativi e
manifestazioni di tipo delirante e dissociativo (la psicosi denominata puerperale,)
e disturbi dissociativi.
Ma il dato che più colpisce è
che circa il 49% delle forme di disagio psichico legate al parto, non vengono
diagnosticate e rimangono come un fenomeno sommerso e quindi non soggetto ad alcun tipo di intervento.
Chiedendoci perché una
madre giunga ad uccidere il proprio bambino
non troveremo mai una risposta univoca ed esaustiva, i fattori si
intrecciano in una trama che non sempre consente la prevedibilità del
fenomeno, ma di prevenzione si, è possibile parlare e costruire interventi che
delineino percorsi di sostegno e di aiuto alla madre, alla coppia , alla
comunità…
Tornando al senso di proprietà
di cui parlavamo in relazione ai figlicidi mitologici, un’ipotesi da
porre e sottoporre ad indagine è la stretta relazione che intercorre fra la
madre ed il bambino: intrecci ed unioni
che a livello fisico, psichico ed immaginario, si traducono in quella simbiosi
che appare fisiologica durante la
gravidanza e nel corso dei primi mesi di vita, ma che gradualmente deve
lasciare spazio all’individuo che si differenziandosi si rende autonomo. Ciò
inizia dal momento della nascita in poi
, quando il piccolo respira e svolge
funzioni autonome a livello fisico e percettivo.
Ripensando al cammino evolutivo
che attende dalla nascita in poi ogni essere umano, notiamo che ogni passo
rappresenta un movimento verso la
differenziazione ed il riconoscimento di sé; ciò ( e per fortuna) avviene anche quando si è più avanti negli
anni, quando si scoprono parti di sé prima ignote, quando si vivono nuove
esperienze e si costruiscono nuovi obiettivi ( anche se a differenza dell’età
giovanile sono limitati nel tempo ).
Per una mamma questa
rappresenta una delle difficoltà maggiori da affrontare nell’accompagnamento
alla vita del proprio figlio /a .
A tal proposito qualche
riferimento al testo di una canzone “ A
modo tuo” scritta da Ligabue e diffusa
dalla la voce di Elisa che esprime in maniera esemplare la difficoltà, il senso
di frustrazione e di abbandono che accompagna la crescita di un figlio:
…sarà difficile dire tanti auguri a te a ogni compleanno
vai un po' più via da me..
sarà difficile
mentre piano ti allontanerai a cercar da sola quella che sarai…
sarà difficile
lasciarti al mondo e tenere un pezzetto per me
e nel bel mezzo del tuo girotondo non poterti proteggere…
e nel bel mezzo del tuo girotondo non poterti proteggere…
Le mamme alla ribalta della
cronaca come protagoniste dell’interruzione della vita del piccolo
essere da loro stesse generato, le mamme che sono in carcere per il gesto
compiuto, le mamme ospiti di strutture
per il recupero, le mamme che ricordano e quelle che hanno
dimenticato l’accaduto distogliendo la
memoria dall’atrocità compiuta…alla fine altro non sono che mamme che non vivranno mai la crescita e
l’allontanamento dei propri figli, in un certo senso, paradossale e patologico… PER
SEMPRE …
Concludendo, un brano
tratto da "il Profeta" di
Kahlil Gibran “Sui figli ”:
E
una donna che reggeva un bambino al seno disse: / Parlaci dei figli / Ed egli
disse:/I vostri figli non sono i vostri figli. /Sono i figli e le figlie
dell’ardore che la Vita ha per sé stessa./ Essi non vengono da voi, ma
attraverso di voi,/ e non vi appartengono benché viviate insieme./ Potete dar
loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i propri
pensieri./ Potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime, /poiché abitano
case future, che neppure in sogno potreste visitare./ Potete sforzarvi di
essere simili a loro,/ ma non cercate di rendere essi simili a voi, / poiché la
vita procede e non si attarda su ieri./ Voi siete gli archi da cui i vostri
figli come frecce vive, /sono scoccati lontano.
L’Arciere
vede il bersaglio sul sentiero infinito/ e con la forza vi tende,/
affinché le sue frecce vadano rapide e lontane./ Fate che sia gioioso e lieto questo vostro essere piegati dalla mano dell’Arciere, / poiché, come ama il volo della freccia, / così Egli ama anche l’arco che è saldo.
affinché le sue frecce vadano rapide e lontane./ Fate che sia gioioso e lieto questo vostro essere piegati dalla mano dell’Arciere, / poiché, come ama il volo della freccia, / così Egli ama anche l’arco che è saldo.
Questo l’approccio vero, sano e rivolto alla vita del figlio/a che ciascun genitore dovrebbe
assumere nel suo difficile ma unico ed
insostituibile ruolo!
Brindisi, 08/01/2016 Iacopina Maiolo
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