Malgrado la situazione di grave
precarietà che stiamo attraversando, non dimentichiamo che obiettivo della
nostra esistenza è, anche ma fondamentalmente, perseguire la nostra felicità.
E’ un punto di arrivo o un cammino con tappe più o meno significative che
comprendono un arco temporale ampio quanto la nostra esistenza?
Se sgombriamo il campo dalle
facili illusioni e dall’edonismo tipico della nostra cultura, che limita la
ricerca della felicità al conseguimento di beni materiali o ad effimere
conquiste, notiamo che il significato del termine si arricchisce di contenuti
che lo rendono finalmente accessibile in
un percorso di vita e non di delicata e fragile durata, paragonabile al volo di
una farfalla o al lume di una candela.
Ecco che l’ essere felici si
unisce al concetto dell’imparare ad
esserlo, creando una sinergia fra il percorso reale di vita e quello
desiderato, fra mondo reale e mondo
immaginario.
Sarebbe utile chiedersi, al
termine di una giornata, quali siano stati gli aspetti piacevoli invece di dare
rilievo unicamente a quanto di disdicevole ci sia accaduto, creando una memoria
delle piacevolezze che possa dare un senso di
positività non illusoria od artefatta, ma basata su dati reali che il più delle
volte siamo portati ad ignorare.
In questa maniera la felicità potrebbe divenire un tessuto, una
trama da costruire nelle nostre
esistenze per raggiungere senza brama od illusorietà una dimensione di pienezza
e soddisfazione stabile e non di
effimera durata.
Non solo, il nostro cammino di
vita ha in sé l’obbligo della
individuazione, concetto approfondito in particolare da Jung e che
considera la vita come un vero e proprio
viaggio per scoprire, mostrare a noi stessi ed agli altri, e quindi affermare
il nostro sé, spesso mortificato dalle influenze esterne (ambiente familiare,
contesto sociale, esperienze di vita ).
Contribuisce dunque alla costruzione della
trama del nostro essere felici anche la scoperta della nostra natura che si esprime all’esterno con energie positive e
forza costruttrice, che vengono
impiegate nella realizzazione di
Sé.
Esiste dunque una maniera per affrontare la vita come una
piacevole scoperta ed un cammino in cui la felicità non rappresenti una
conquista illusoria, ma un senso profondo dell’essere e dell’esistente.
Ma a questo punto una riflessione
pare opportuna: se non possiamo soddisfare i nostri bisogni primari (
quelli basilari di sussistenza ),
possiamo ugualmente costruire la trama della nostra felicità?
La risposta è univoca: CERTO CHE
NO.
Quindi la felicità, pur
nell’accezione qui condivisa, non ha una diffusione democratica e paritaria e
la cosa pare ovvia e scontata, ma non ha
requisiti di ovvietà il fatto che nel 2020 ci siano ancora fasce di
popolazione che vivono nella negazione
dei bisogni e dei diritti fondamentali
personali, sociali ed economici .
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